mercoledì 21 novembre 2007

Il nichilismo e la noia parte IV

Alla fine è arrivato anche il quarto uomo. Si chiama Rudy Hermann Guede, della Costa d'Avorio, 21 anni. la storia, in parte è stata già preannunciata nell'articolo precedente.
Rudy è stato arrestato su un treno, in Germania. Il mandato di cattura europeo richiesto dalla procura di Perugia riporterà il giovane in Italia nel giro di qualche giorno. Intanto è stato scarcerato Patrick Lumumba che, a quanto pare, con il delitto non c'entra niente. Da valutare, invece, la posizione di Raffaele Sollecito che pare aggravarsi dopo alcuni, parziali, esami della polizia scientifica sul suo portatile. In carcere rimane anche Amanda Knox, la mente di tuta questa storia. Certo, ci sono ancora molte cose da chiarire, da capire ma dall'inizio, dove si capiva niente, ad esso, di strada ne è stata fatta. Magari ci si capirà meno dell'inizio ma almeno bisogna provarci ed è quello che stanno facendo gli uomini dell'Ert, dello Sco e della polizia scientifica, che hanno lavorato con intensità e serietà su di un caso non facile e oscuro. Magari ci porremo, noi, da profani delle domande, in cerca di spiegazioni, in cerca di un perchè, di "un come mai è successo questo e non si poteva fare in modo di evitare che". Tutte domande, tutte lecite per carità. Sicuramente avremo lo psichiatra o lo psicologo di turno che cercheranno di dare parziali spiegazioni che metteranno più confusione, quasi sicuramente avremo il prete che cercherà il perdono per delle azioni che sicuramente non lo meritano ma, daltronde è il suo lavoro, come lo psicologo, faranno tutti il loro lavoro. Anche i politici, non dimentichiamoli, entreranno su questa storia, magari parlando delle troppe canne che si faceva Sollecito o Rudy, daranno la colpa alla marijuana, come sempre unica colpevole di un mondo che non ha bisogno di colpevoli ma di essere capito e compreso. Appunto come scrive Umberto Galimberti, nel suo libro che ho citato all'inizio di questi quattro capitoli; Perchè non ascoltiamo i disagi dei giovani di oggi? perchè non li guardiamo negli occhi? perchè non proviamo a spiegare il nichilismo e la noia? perchè non gli si fa capire che è nel si! nel si incondizionato alla vita che sta la chiave di volta per andare avanti, anche se la vita è orrenda, assurda,vuota, anche se si è perdenti, anche se non si ha un lavoro o se ne ha uno da mille euro al mese che forse è peggio di non averne, anche se non si ha una donna da cui andare a piangere, a farsi accarezzare o semplicemente parlare. Perchè non gli facciamo capire che la noia, anche lei, che sembra orribile, è degna di essere vissuta, assorbita, capita, ospitata e osservata?
Quando una delle persone che ho mensionato prima, cercherà di dare una spiegazione del genere, non dico che avrà fatto un miracolo ma di certo solo il suo lavoro. Cosa che nel mondo di oggi viene difficile fare. E allora se viene difficile ai "grandi" non accusiamo solo i giovani delle loro nefandezze ma sarebbe opportuno cercare di capire ognuno le proprie colpe. Preti, psicologi, insegnanti, politici e perchè no, anche filosofi.

lunedì 19 novembre 2007

Il Nichilismo e la noia parte III

E' strana la storia che raccontano i due fidanzatini. Molto strana, tirano nel mezzo una terza persona, Amanda, tira nel mezzo Patrick Lumumba il proprietario del pub "le Chic". Lo dice chiaro Amanda:"ad ammazzare la mia amica è stato lui."
Anche Patrick viene interrogato e cè qualcosa che non tiene nel suo alibi, anche per lui ci sono troppo cose che non quadrano e il Pm decide di avallare la tesi di Amanda, è lui il colpevole.
Ma l'arma del delitto? Dov'è? dove l'ha buttata Patrick dopo aver ammazzato Meredith? Nelle vicinanze non si trova, intanto è chiaro che la ragazza inglese è stata uccisa con un coltello. Dov'è?
Gli esperti dell'Ert; un gruppo speciale della polizia scientifica esperti nel ricercare le tracce, da qui la sigla appunto, Ert, nell'appartamento di Meredith trovano un impronta, un impronta di scarpa maschile.
E' la stessa impronta di una scarpa di Raffaele Sollecito. Chiaro che dentro, in quella casa, la notte del delitto c'era pure lui. Scatta allora la perquisizione a casa del Sollecito, dentro la Polizia trova dei coltelli, tanti. E allora? Raffaele ha la passione dei coltelli, gli piacciono e li colleziona. Tutto normale. No, perchè sulla lama di uno dei coltelli sequestrati la scientifica trova una striatura di sangue. Di chi è quel sangue? agli investigatori appare subito chiaro. Quel sangue è compatibile con quello di Meredith. La giovane inglese è stata ammazzata con quel coltello, con il coltello di Raffaele Sollecito. Si mettono in chiaro le cose, ma non tanto poi. Perchè oltre a trovare il sangue di Meredith, i poliziotti della scientifica ritrovano nel manico del coltello tracce di dna riconducibili ad Amanda. Non solo, la polizia si sta facendo convinta che la storia della violenza sia tutta inventata, che sia stata un escamotage per fare confusione. Molto probabilmente, affermano gli investigatori, Meredith è stata uccisa mentre era vestita, poi è stata spogliata e avvolta nel piumone, come se quel corpo dovesse sparire. Per gli investigatori è stata inscenata una violenza carnale che poi, nella realtà, non cè stata. Chi è stato ad ammazzare la studentessa inglese?
E' stata Amanda ad ammazzare Meredith? no dice lei è stato Patrick, io c'ero, ho sentito le urla. Le spiegazioni dei due non reggono, intanto Patrick è l'unico accusato. Inoltre in alcuni stracci trovati nella casa sono stati rinvenute tracce di dna di Raffaele e Amanda. A casa di Sollecito sono state sequestrate due bottiglie di candeggina, una vuota e l'altra a metà.
Se fossimo in un romanzo giallo in un noir adesso sarebbe il momento del colpo di coda, dell'inatteso, qui però non siamo in un romanzo, siamo nella realtà ma certe cose avvengono, avvengono nella stessa maniara dei libri di fantasia. E' il verosimile, come diceva Pirandello.
A questo punto c'è un testimone, un professore svizzero che scagione Patrick. Vede in tv quello che è successo e si presenta alla polizia. Parla e dice una cosa che fa saltare in aria il castello montato dai due fidanzati. Il professore afferma che la sera del delitto lui era con Patrick al pub e che Lumumba da li non si è mai mosso. Quindi?
Quindi Lumumba è fuori. Aspettiamo un attimo. Ci sono delle cose da valutare la polizia e tutt'ora al lavoro. In questo caso la posizione dei due peggiora, sono loro i principali sospettati, le nubi si addensano su Amanda in particolar modo, per via del suo comportamento, freddo e distante, come se non fosse successo niente. Ma ancora non è tutto e il destino o il corso delle cose complicano o semplificano le cose. Qui le cose si complicano. Gli esperti dell'ert rintracciano nel cuscino di Meredith un impronta digitale. E' di Raffaele? no. Sarà di Amanda, nemmeno. Allora torna in gioco Lumumba, daltra parte è lui l'indagato principale. No, l'impronta non è sua. Di chi è quell'impronta? Chi ci stava oltre, ai protagonisti conosciuti, dentro quella casa? La polizia ha un idea, chiara, la segue e subito trovano riscontri ai loro dubbi. Quella sera dentro la casa di Meredith c'era un quarto uomo. Chi? la Polizia sa anche questo, è un piccolo spacciatore, di origini Ivoriane, adattotato da una famiglia per bene di Perugia. E' scomparso dal due novembre. Gli investigatori sono fiduciosi di trovarlo.
La Polizia lo cerca. Potrebbe essere lui la chiave di volta, sul cuscino ci sta la sua impronta. Ma perchè è sparito? Che ruolo ha avuto nella faccenda? Quale spiegazione può dare, ulteriore a quelle conosciute? Perchè Amanda di questo misterioso uomo non ne ha mai parlato? Perchè Amanda ha preferito accusare il fidanzato e omettere il nome del quarto uomo?
La polizia lo cerca, lo cerca per vedere chiaro in un giallo ipnotico e maledetto che sembra aggiungere elementi su elementi come se alla morte di una giovane ragazza inglese non si possa dare una spiegazione. Anche se, come diceva Wittgnestein: "non esiste un problema creato dall'uomo che possa essere risolto dall'uomo."

sabato 17 novembre 2007

Il nichilismo e la noia parte II

E' successo che Meredith è stata ammazzata. Forse si è rifiutata di avere un rapporto sessuale e il suo aggressore l'ha uccisa con un coltello, l'ha coperta con il piumone del letto, ricordiamolo, il corpo viene trovato per terra avvolto dal piumone, poi è scappato, rompendo la finestra che si trova nella camera di Meridth. Questi sono i fatti.
A trovare il cadavere della giovane inglese è la coinquilina, Amanda che il primo di novembre rincasa verso mezzogiorno, vede quello che è successo e telefona alla polizia.
Agli investigatori che per primi arrivano sul luogo del delitto appare la scena che abbiamo descritto prima. Scattano le prime verifiche, le prime domande. Che cosa viene fuori?
"Patrick e Meredith si sono appartati nella stanza di meredith mentre io mi pare che sia rimasta in cucina. Non ricordo quanto tempo sia passato ma posso solo dire che ad un certo punto ho sentito Meredith urlare, io spaventata mi sono tappata le orecchie per non sentire. Poi non ricordo più niente, ho una gran confusione. Non ricordo se Meredith gridava e se sentivo anche dei tonfi perchè ero sconvolta, ma immaginavo cosa potesse essere successo."
Questo è quanto racconta Amanda alla polizia 5 giorni dopo il delitto, racconta di aver assistito all'omicidio dell'amica. Perchè dopo 5 giorni dal delitto?
Perchè Amanda crolla. Crolla dinnanzi alle prove che gli uomini della squadra mobile di Perugia gli contestano.
Amanda aveva detto che il primo di Novembre alle diciassette del pomeriggio è uscita di casa tornando all'alba della mattina dopo, cioè, quando viene ritrovato il corpo di Meredith. Nel frattempo succede un altra cosa, importante. Raffaele Sollecito è stato interrogato poco prima della fidanzata e, sotto la pressione degli investigatori, ammette che l'alibi costruito è falso, però nega di aver partecipato all'omicidio. A questo punto sono solo due i probabili colpevoli; Amanda e il dj Lumumba che, per stessa ammisione di Amanda, si trova con Meredith.
Amanda capisce però che per lei le strade si fanno strette e si ritaglia un ruolo piccolo, marginale. Accusa Lumumba di essere l'assassino della sua amica. Ecco. tutto sembra tornare. Lumumba vuole avere un rapporto sessuale con Meredith, lei rifiuta e lui, in un raptus di follia la uccide e poi scappa. Sembra tutto chiaro. Il Pm di Perugia firma il provvedimento anche nei confronti dei due uomini.
Amanda vuole raccontare, è sconvolta, lo scriverà anche in una lettera, in un compito che le viene assegnato all'università. Amanda vuole parlare, è sconvolta.
"Voglio riferire spontaneamente quello che è successo perchè questa vicenda mi ha scosso e ho molta paura di Patrick, proprietario del pub Le Chic dove di solito lavoro. L'ho incontrato la sera del primo Novembre, alle 21 al campetto di basket in p.zza Grimana. Siamo andati a casa mia. Non ricordo se Meredith fosse già a casa o se è giunta dopo. Quello che posso dire è che si sono appartati." Abbiamo visto come Amanda entra nei dettagli e descrive l'aggressione e le urla. Ma Meredith continua a parlare, ha paura ed è giusto che una persona parli e dica cosa è successo e Meredith parla, tranquillamente.
L'americana continua la deposizione affermand di aver nuovamente rivisto Patrick il 5 di novembre dinnanzi alla facoltà, faceva delle domande che riguardavano la morte di Meredith, anzi, faceva delle domande specifiche per sapere cosa la polizia aveva chiesto. Un tipo strano Patrick, almeno come lo racconta Amanda.
Il racconto della studentessa prosegue e parla anche del suo fidanzato, Raffaele Sollecito. Non è sicura se fosse presente anche lui quella sera. Però Amanda ricorda di essersi svegliata a casa di Raffaele. Ricordiamolo, i due stanno insieme da poco ma convivono insieme. Amanda continua, lei a casa sua è tornata la mattina, quando si è svegliata dal suo ragazzo, e afferma di aver trovato la porta dell'abitazione aperta e con dentro la polizia. Strano. Prima aveva detto di essere lei ad entrare per prima nella casa.
A dare la svolta delle inagini sono i tabulati telefonici, che mettono luce sugli spostamenti dei tre ragazzi e portano Sollecito ad ammettere di "aver detto un sacco di cazzate."
Raffaele viene convocato in questura il cinque di novembre alle ventidue e quaranta. Dopo la scoperta del cadavere di Meredith era stato interrogato ma le risposte erano state evasive e piene di "non ricordo." Gli investigatori sono bravi e cercano di mettere i sospettati dinnanzi al fatto compiuto ma Sollecito muta versione dei fatti in base al mutare degli eventi. Raffaele racconta la sua versione ed inizia a parlare di Amanda e di come si sono conosciuti e racconta una versione del tutto diversa rispetto alle altre: "Il primo di Novembre ho fatto colazione con Amanda verso le 11, poi lei è uscita ed io sono tornato a letto. L'ho raggiunta a casa sua verso le 13-14. C'era anche Meredith che è uscita, di fretta, verso le 16. Io e Amanda siamo andati in centro verso le 18 e siamo rimasti sino alle 20:30 o 21. Io alle 21 sono andato a casa mia mentre Amanda è andata al pub "le chic" per incontrare degli amici. Sono tornato a casa, mi sono fatto una canna, ho cenato ma non ricordo cosa ho mangiato. Alle 23 mi ha chiamato mio padre sull'utenza fissa. Ho navigato in internet e ho smesso quando Amanda è tornata, verso l'una. Non ricordo com'era vestita ne se abbiamo avuto un rapporto sessuale. Ci siamo svegliati alle 10 e mi ha detto che voleva andare a casa a farsi una doccia. E' uscita attorno alle 10:30 e poi sono tornato a dormire. Alle 11:30 è tornata a casa con dei vestiti nuovi e con una borsa che aveva preso prima di uscire, serviva per i panni sporchi."
A questo punto, secondo Raffaele Sollecito, Amanda gli avrebbe raccontato di aver trovato la porta di casa spalancata e delle tracce di sangue nel bagno piccolo. Sollecito chiede ad Amanda di chiamare alle sue amiche per capire un pò ma Meredith non rispondeva. I due fidanzati decidono di andare insieme a vadere cosa sia successo, Raffaele ricostruisce il momento dell'arrivo:
"Lei ha aperto la porta con le chiavi e sono entrato, ho notato che la porta di Filomena era spalancata con dei vetri per terra e la camera tutta in disordine. La porta di Amanda era aperta ma non ci stava niente di anormale. Sono andato verso la porta di Meredith è ho visto che era chiusa a chiave. Ho controllato se veramente ci fosse sangue nel bagno, e mi sono accorto di si, sul lavandino e sul tappetino. Il resto del bagno era pulito. Amanda è entrata nel bagno grande dove aveva visto delle feci nel water che però adesso risultava pulito. Ho cercato di capire cosa stesse accadendo , ho cercato di sfondare la porta ma non ci sono riuscito e a quel punto ho deciso di chiamare i carabinieri ma nel frattempo è arrivata la polizia... Nel precendente verbale ho raccontato un sacco di cazzate credendo alla sua versione e non ho pensato alle incongruenze."
Questo è quanto emerso dai verbali, intanto i tre devono rispondere di concorso in omicidio volontario e violenza sessuale. Ma non finisce qui.

venerdì 16 novembre 2007

Il nichilismo e la noia parte I

Nel bellissimo libro di Umberto Galimberti "L'ospite inquietante, il nichilismo e i giovani" uscito da poco si da una mappa, una spiegazione e un perchè della situazione dei giovani di oggi, italiani e non. La grandezza del testo sta nel non essere un libro inaccessibile ma, al contrario, fuibile ed accessibile a tutti.
La bravura di Galiberti è quella di mettere in chiaro le cose senza girarci troppo attorno. Parla in maniera inequivocabile il testo: "le colpe non sono solo dei giovani, vanno distrubuite tra famiglia, scuola ed istituzioni." Vero, verissimo. Non si salva nessuno dal Nichilismo che, come dice Friederich Nietzsche "è fuori, dentro e attorno a noi." Credo che quello che è successo a Perugia può riassumersi in due parole che, forse, sono attinenti mai come oggi: Noia e Nichilismo.
Amanda Konx, Raffaele Sollecito, Patrick Lumumba e Meredith Kercher. Mettiamo in memoria questi nomi e ricordiamocene strada facendo. Che cosa accade a Perugia la notte tra l'uno e il due di Novembre ? Che cosa accade, di terribile a Perugia?
Perugia è il capoluogo di una regione tranquilla, l'Umbria, di una regione fatta a misura d'uomo, di una regione che è stata già al centro di altri casi di cronaca nera e che ha cercato in tutti i modi di cancellare quello che di terribile e osceno è accaduto. Perugia è una bella città, medievale e quindi caratteristica, e la città dove si produce uno dei migliori cioccolati d'Italia ed è anche la città italiana che ha il maggior numero di studenti stranieri scritti nei corsi di laurea.
L'università di Perugia in passato è stata al centro di casi misteriosi ma questa volta, quello che succede, avviene fuori dalle mura universitarie. Lontano, ma non tanto.
Il 31 di ottobre è Halloween, festa di importazione che ormai in italia è diventata di moda, a Perugia si festeggia e a festeggiare non sono solo i ragazzi italiani ma anche chi, come Amanda Konx e Meredith Kercher sono lontani da casa.
Amanda e Meredith sono due ragazze che si trovano in Italia, a Perugia per la precisione, per fare il progetto Erasmus, un progetto che mette a dispozione per i ragazzi stranieri la possibilità di frequentare delle lezioni in una università europea. Amanda e Meredith si conoscono così, sono due studentesse che fanno il progetto Erasmus in Italia, a Perugia.
Amanda è americana e Meridith inglese e quella notte, il 31 di Ottobre, festeggiano insieme halloween. Non sono sole a festeggiare perchè Amanda da poco si è fidanzata con un ragazzo italiano; si chiama Raffaele Sollecito, è di Perugia e studia nella stessa facoltà di Amanda, che è la stessa di Meredith.
Raffaele si innamora di Amanda subito, appena la vede, il classico colpo di fulmine. Stanno insieme da poco ma hanno già un ottima intesa tanto che, decidono di andare a convivere. Meredith ha da poco rotto la sua relazione con il suo fidanzato inglese, non sappiamo i motifvi, forse la lontanza o forse è finita, semplicemente, come accade di solito e magari si chiudono gli occhi per non accettare la realtà, per Meredith no. La storia è finita, basta, stop. Non perde tempo la giovane inglese, è carina e poi Perugia è una città universitaria, ci sono molti ragazzi, molti studenti, inizia una nuova storia come fanno i ragazzi di oggi, senza pensare troppo al passato e, magari, senza troppi programmi sul futuro. Quindi anche Meredith ha un fidanzato italiano.
Torniamo alla notte del primo di Novembre, Amanda, Raffaele e Meredith festeggiano in un pub del centro di Perugia, il proprietario è Patrick Lumumba, un musicista di colore pienamente integrato nella cittadina umbra, tanto che i cd con la sua musica sono conosciuti da molta gente.
Amanda, Raffaele, Meredith e Patrick. Ricordiamo questi nomi. Questi quattro ragazzi si ritrovano all'interno di quel pub di Perugia dove, il 31 Ottobre si sta festeggiando Halloween. E' una festa e come ogni festa che si rispetti si balla e si beve sopratutto, sono ragazzi e i ragazzi si sa hanno il bicchiere facile, poi è halloween l'indomani non c'è università e quindi si può tranquillamente esagerare, senza problemi, una sbronza e poi a letto, a dormire, sino a tardi.
Meredith non esagera poi tanto, a mezzanote decide di andare a casa, lei, ricordiamolo abita insieme ad Amanda, anche se Amanda da poco tempo convive con Raffaele. La casa delle studentesse si trova non lontano dall'università e non lontano dal pub in cui si sta fesetggiando. Meredith va a casa a mezzanotte, da li non uscirà più perchè l'indomani verrà ritrovata in lago di sangue. Meredith è morta, anzi, per essere precisi è stata uccisa con una coltellata. Che cosa è successo la notte del 31 Ottobre a Perugia?

giovedì 15 novembre 2007

Perchè l'amore è anche così

Di Herman Hesse

Troppo Tardi

Hai riso,
Perchè di pena giovanile e di vergogna pieno
venivo da te con una piccola preghiera,
e del mio amore
hai fatto gioco.

Ora sei stanca e più non giochi,
guardi da occhi scuri
dal tuo travaglio
e vorresti avere l'amore
che un tempo ti offrii.

Ahimè, quello da lungo si è già spento
e non può risorgere più-
una volta era tuo!
ora non conosce più nome
e vuole star solo.

Omicidio volontario per Spaccatorella

Alla fine il balzo da omicidio colposo a volontario è arrivato. Per stessa ammissione dell'avvocato difensore dell'agente di polizia.
La versione iniziale, che non è mai cambiata, data da Luigi dopo i fatti di Arezzo non ha tenuto, i testimoni lo inchiodano diversamente.
L'agente Spaccatorella spara a braccia tese e ad altezza d'uomo. Prima il rappresentate di Roma e poi uno degli occupanti della Megane colpita cambiano la versione dei fatti.
Quindi la volontarietà e non il colposo. Luigi spara e spara per uccidere. Anche le parole del procuratore di Arezzo sono pesanti: "Si spara ad altezza d'uomo quando si è direttamente minacciati." In quel caso non ci stava nessun pericolo, nessuna minaccia, la macchina stava andando via e lui non doveva sparare.
Questi sono sin ora i fatti. All'indomani del funerale di Gabriele e della richiesta di giustizia si fa un passo avanti verso la verità, richiesta da tutti.
Si fa luce anche sui coltelli e l'ombrello trovato nell'autogrill. Sembra che gli oggetti abbandonati siano dei tifosi laziali che poi sono scappati, quindi questo cambia ancora le cose. I tifosi aggrediti sono gli juventini, che scappano con la Mercedes classe A. Vengono riconosciuti anche alcuni dei tifosi laziali che fanno parte di un gruppo di estrema destra, già noti alle forze dell'ordine per via di vari atti che in precedenza avevano compiuto. Per ora le cose stanno così. Vedremo in seguito.

martedì 13 novembre 2007

Si dirada la nebbia

Eravamo rimasti a ieri, al dolore, allo sgomento, all'incredulità di quanto accaduto domenica mattina nelle vicinanze di Arezzo.
Oggi ci si capisce un pò di più, si intuisce quello che è successo e che non doveva succedere, si stanno mettendo in ordine i fatti, le testimonianze e adesso tutto sembra marciare verso un perchè che fa ancora più male, forse, del fatto stesso.
Innanzi tutto il poliziotto che ha sparato ha un nome; Luigi Spaccatorella, 31 anni, sposato con due figli. Da dieci anni nella polizia di stato, ha avuto molte onoreficenze Luigi, cinque anni in Sicilia poi altri cinque in Calabria, posti difficili, posti duri in cui viene messa alla prova la stoffa del poliziotto.
Luigi esce da questi luoghi con meriti, è uno bravo, un bravo poliziotto, così dicono i colleghi che ci hanno avuto a che fare da vicino. Poi Luigi decide di trasferirsi, via, basta con la Sicilia, basta con la Calabria va vicino alla moglie, ad Arezzo dove sino a ieri ha prestato servizio.
In questa triste storia si incontrano due destini di ragazzi, diversi forse per stile di vita ma uguali, quasi uguali negli anni.
Gabriele ha 28 anni e Luigi 31, potremmo dire "quasi coetaneni".
No. ieri non erano coetanei, ieri Gabriele e Luigi si sono incrociati, senza vedersi, probabilmente.
Luigi adesso è incriminato per omicidio colposo, Gabriele è morto, ucciso da una pallottola sparata da Luigi. Ecco come si incontrano i due.
Di Gabriele abbiamo parlato ieri, di Luigi ne abbiamo accenato oggi. Basta, finisce qui, rimaranno due nomi che si sono incrociati senza conoscersi e senza sapere perchè.
Quello che adesso contano sono i fatti. Solo quelli. Ma quali sono i fatti 24 ore dopo?
L'agente di polizia afferma, in un primo momento, di aver sparato mentre correva. Verso dove?
Mentre correva, quindi, gli è partito un colpo.Qui sorge una domanda: Come teneva la pistola?
Il colpo partito, per sbaglio, attraversa le due carreggiate dall'A1 e si conficca nel finestrino posteriore della Megan, colpisce Gabriele al collo, lo uccide e arresta la sua corsa. Questo è quanto afferma Luigi. Bene. No. Troppi dubbi.
La pistola in dotazione alla polizia di stato è una Berretta 92s calibro 7.65 un arma militare, pesante, potente e precisa. La caratteristica di questa pistola è la presenza di una doppia sicura, infatti oltre a quella normale, presente in tutte le pistole, ne ha un altra all'altezza dell'impugnatura. Cosa significa allora? Significa che per sparare la Beretta 92s deve essere ben impugnata, una impugnatura forte e decisa tale da permettere alla seconda sicura di disattivarsi e far partire il colpo. Non è facile far sparare una pistola come quella. Come faceva, quindi, l'agente a correre, tenere ben stretta la pistola, far paritre inavvertitamente un colpo che si conficca nel collo di Gabriele? Il tutto ad altezza d'uomo. No, non è possibile. ci sono delle falle, ed anche grossolane.
Luigi, lo abbiamo detto è un agente bravo, preparato, dovrebbe sapere come si tiene un arma quando si è in mezzo alla gente, non ad altezza d'uomo, anche se la sicura cè è pericoloso e un colpo può sempre partire. La pistola va tenuta verso il basso, verso terra, così se il colpo parte si conficca a nel suolo quando si spara per avvisare si spara in aria, braccio teso verso l'alto, lontano dall'orecchio, il proiettile parte in aria, perde la sua forza e ricade.
No. Nel racconto dell'agente cè qualcosa che non torna. Lui è uno bravo, lo sa come si tiene un arma in mezzo alla gente, lo insegnano a tutti, anche a chi pratica il poligono da civile; l'arma si tiene verso il basso. Infatti ci vuole poco a capire come sono andate le cose e quello che vogliamo è che si faccia luce, che chi ha sbagliato paghi, come prevede la legge, niente di più e niente di meno.
Un agente di commercio si presenta al commissariato, a Roma, sa che cosa è successo e vuole dare un contributo a fare luce, come un buon cittadino fa mettere a verbale la sua dichiarazione.
Quello che viene fuori dal racconto è raccapricciante se pensiamo che l'azione è fatta da un poliziotto, da uno addestrato, da uno bravo, come lo è Luigi.
L'agente di commercio si trovava nello stesso autogrill in cui si trovava la pattuglia della polizia. Il racconto è chiaro, senza giri di parole: "Ho visto quell'agente tenere l'arma a braccia tese e la pistola con entrambe le mani. Non credo che sparasse in aria, anzi..."
Tenere la pistola a braccia tese e con entrambe le mani ti permette di sparare con più punti di appoggio, hai più stabilità e di conseguenza migliora il rendimento di mira. Vi sono vari modi di impugnare la pistola a due mani, ma noi non sappiamo quale di questi modi Luigi ha usato.
Stando al racconto del super teste,Luigi ha preso la mira è ha fatto fuoco. Volontariamente. Il capo di imputazione da doloso potrebbe diventare volontario e le cose cambiano.
L'agente Spaccatorella non ricorda se ha fatto quell'operazione, ne conferma ne smentisce. E' sotto choc.
Ora, perchè Luigi ha preso la mira da cinquanta metri, prendendosi dei rischi enormi? sparando ha messo in rischio la vita di moltissime persone, vi sono due carreggiate con macchine che sfrecciano a 130 all'ora in entrambe le direzioni,in quella posizione descritta dal testimone, quando si spara si spara per colpire e non per spaventare. Che cosa voleva colpire Luigi? Le ruote della Megane? e perchè? in quel caso il colpo doveva essere verso il basso correndo ancora più rischi. E allora? che cosa voleva fare Luigi? perchè assume quella posizione?
Pensiamo un attimo: Luigi è così sicuro di sparare e colpire una gomma di quell'auto in movimento che: stendende le braccia, impugna la pistola con due mani e fa fuoco. E' talmente sicuro da infischiarsene dai rischi che potrebbe causare quello sparo, fa passare una pollottola attraverso due corsie di autostrada, attraverso le recinsioni e colpire la ruota. Quella pallottola viaggia a circa 300/350 metri al secondo e durante i percorso può prendere qualsiasi cosa.
Certo è strano un ragionamento del genere per uno bravo, per uno come Luigi. E allora? che cosa succede? Succede che il poliziotto si è "comportato in modo maldestro" stando alle dichiarazioni del capo della polizia Antonio Manganelli. Succederà, molto probabilmente, che l'accusa da omicido colposo diverrà omicidio volontario, ammettendo quello che in parte abbiamo ricostruito prima. Luigi è sicuro di se, prende la mira e spara, colpisce il lunotto della macchina è uccide Gabriele. Perchè? questo è quello che ci chiediamo in attesa di capire meglio.

lunedì 12 novembre 2007

Cosa non doveva succedere

Immaginiamo, chiudendo gli occhi, che ieri non sia successo niente, che le partite si fossero giocate, normalmente, come sempre e come ogni domenica ci sarebbero stati i contenti e gli scontenti.
Mettiamo che tra i contenti della giornata ci fosse un ragazzo, uno come tanti, che tiene alla sua squadra del cuore e che dopo una trasferta è contento perchè la sua lazio ha vinto. tutto normale, tutto come sempre, come ogni domenica ci saranno i contenti e gli scontenti e l'indomani i classici sfottò al bar, dopo il caffè,mentre ci si fuma una sigaretta.
Ieri era la classica domenica di campionato, unacome le altre. Domenica di trasferta per i tifosi della Lazio che nel pomeriggio avrebbero affrontato la capolista.
Occasione anche di una gita fuori porta per chi è tifoso e segue la sua squadra,niente di strano, niente di assurdo.
Non è anormale, nel mondo di oggi, che un gruppo di tifosi venga a contatto con un altro di una tifoseria opposta.
Tra questi ragazzi ce ne stà uno, uno in particolare. Non perchè sia diverso dagli altri; è un ragazzo di 28 anni, che ama la musica, la lazio e la vita.
Il nostro ragazzo si chiama Gabriele Sandri e lui in quella rissa c'è. Non sappiamo che parte abbia avuto ne se abbia partecipato, ma lui è lì, in quell'autogrill nelle vicinanze di Arezzo.
Si crea scompiglio, parapiglia, volano insulti, come sempre, spintoni, calci, si spezza un ombrello sopra quale testa non si sa di chi, ne vogliamo saperlo.
Dalla parte opposta all'autogrill, proprio di fronte, a cinquanta metri divisi dalla careggiata della A1, verso sud, c'è una pattuglia della Polizia stradale, due agenti, due ragazzi anche loro. Si accorgono di quello che succede a 50 metri da loro. Non possono andarci, ci sono due carreggiate nel mezzo e le macchine sfrecciano veloci, decidono allora di avviciniarsi il più possibile al guarda rail che delimitano l'autogrill dall'autostada, accendono la sirena della volante per attirare l'attenzione del gruppo, cosa che in parte riesce.
Uno dei due poliziotti decide di sparare in aria, per cercare di sedare in qualche modo quella rissa inutile ma normale nel mondo di oggi.
I tifosi fuggono, si dileguano, Gabriele sale in macchina (o non ne è mai sceso?) con gli amici, stanno per imboccare il raccordo che li riimmette in autostrada quando un botto spacca il vetro della Megane in cui c'è Gabriele.
Apriamo gli occhi adesso. Che cosa è successo? Che cosa è accaduto che non doveva succedere?
E' successo quanto di peggio poteva accadere dopo il 2 febbraio dello scorso anno.
Un poliziotto ha ammazzato un tifoso.
Tutto vero, ma non normale. Non ci sta niente di normale nella morte di una persona, di una persona in generale ma sopratutto se quella persona è giovane, ha 28 anni e viene ammazzata per sbaglio, almeno così si dice.
Gli amici di Gabriele non credono che il botto sia un proiettile, perchè dovrebbe esserlo? perchè avrebbero dovuto sparagli addosso? da una distanza così notevole poi... loro, forse, la polizia non l'hanno nemmeno vista. No. non possono credere che sia un proiettile. Perchè dovrebbe esserlo?
Si immaginano di un sasso, un sasso lanciato dai tifosi juventini che ha colpito il vetro che lo ha spaccato e che lo ha ridotto in frantumi. Ecco, si. Un sasso. i tifosi se li tirano addosso, uno degli juventini lo ha tirato e ha sfondato il vetro. Tutto normale. No. Non questa volta.
Il botto è quello di un proiettile calibro 7,65 della pistola in dotazione alla polizia. La Megane dei tifosi laziali si ferma al casello successivo e chiede soccorso, arriva il 118 ma non c'è niente da fare.Gabriele Sandri è morto. Il proiettile gli ha attreversato il collo da parte a parte uccidendolo sul colpo. Arriva anche una volante della polizia che fa i primi accertamenti.
Le voci si susseguono, una dopo l'altra sino a raggiungere le tifoserie già dentro lo stadio e in attesa di entrare. Si sa solo che un ragazzo è morto e che è stato ucciso dalla polizia. Tanto basta per scatenare la rabbia e la guerriglia urbana. Il viminale temporeggia, non sanno se ammettere o no ciò che è successo. Il capo della poliza Manganelli ordina: "si gioca regolarmante".
A bergamo dopo 7 minuti i tifosi bergamaschi distruggono le vetrate con un tombino. Basta, stop, non si può giocare, uno di noi è stato ammazzato. La decisione non è comune, c'è confusione, in alcuni campi si gioca, in altri no. I tifosi di inter e lazio a Milano si mettono d'accordo per un corteo che arriva sino al centro. Un atto di protesta. Nel frattempo partono le prime violenze attorno agli stadi, contro la polizia. Il culmine si ha a Roma dove viene preso d'assalto un commissiarato con gli agenti dentro, i tifosi tirano di tutto e distruggono tutto quello che trovano, la rabbia monta secondo dopo secondo. Ma cosa volevano in realtà i tifosi?
Chiedevano che il campionato venisse sospeso come fu fatto dopo la morte dell'ispettore Raciti.
Puntualmente, questo, non avviene. Si decide di iniziare dieci minuti dopo, troppo poco, troppo ingiusto e giù violenze, insulti e vandalismo.
Cosa non doveva succedere? Non doveva succedere niente di tutto quello che è successo. Non doveva succedere che un poliziotto sparasse da una distanza di cinquanta metri ad altrezza d'uomo, non doveva succedere che le partite si giocassero, non devano succedere le violenze che però sono una "logica" conseguenza dell'impreparazione dei vertici del calcio, e non solo, di affrontare una situazione di emergenza, non doveva succedere che un ragazzo, Gabriele Sandri morisse a 28 anni, colpito da una pallottola al collo sparata da un altro ragazzo di 31 anni che dall'altra parte della strada era troppo distante per capire, per comprendere una cosa che non doveva succedere.

venerdì 9 novembre 2007

Il cardinale Tonini alza i toni

"l'hanno ucciso" il cardinal tonini ad annozero
ENZO BIAGI: CARD. TONINI, L'HANNO UCCISO - ROMA, 8 NOV -
''Lo hanno ucciso. E' stato un ostracismo. Enzo Biagi dava fastidio, non era utile ed e' stato cacciato'': cosi' il cardinale Ersilio Tonini, che oggi ha celebrato i funerali di Enzo Biagi, e' intervenuto stasera in collegamento nel programma di Michele Santoro 'Annozero', tutto dedicato a Biagi, ''La Rai si e' derubata - ha aggiunto Tonini - c'era un tranello, una motivazione che non era degna. Ero suo amico e sono anche un uomo che conosce un po' la realta'. Biagi non e' stato solo un uomo della tv, ma anche una persona che ha combattuto per la giustizia e la liberta', un uomo di una schiettezza piena. Non si possono trattare gli uomini come pezzi da giocare. Allora si torna alla Grecia, all'ostracismo. Non e' una bella epoca''. Tonini ha ricordato la ''coerenza, la sincerita' e la schiettezza'' di Biagi con il quale, ha ricordato, ''abbiamo girato l'Italia insieme. Biagi - ha aggiunto - ha lottato, aveva dei forti convincimenti ed era molto modesto. Non e' stato capito. Dava fastidio, non era utile ed e' stato buttato fuori''.

giovedì 8 novembre 2007

Bella ciao per Biagi

Si sono svolti oggi i funerali di Enzo Biagi, che ha voluto essere tumulato nel cimitero del suo piccolo paese natale, Pianaccio, in provincia di Bologna.
Una folla composta di centocinquanta persone ha accompagnato il feretro del maestro con il canto partigiano"Bella Ciao" in ricordo del giovane Biagi che, nella seconda guerra mondiale combattè nel battaglione della resistenza "Giustizia e Libertà."
Il funerale è stata anche l'occasione di ricordare, a quanti lo avessero dimenticato, che Enzo Biagi fu "cacciato" dalla televisione dal famoso editto bulgaro ad opera dello psiconano Berlusconi.
Lo ricorda con tono fermo e pacato una delle figlie del giornalista da poco scomparso, Bice Biagi che ricorda a Berlusconi che l'editto ci fu e che quanto affermato ieri ,dall'ex capo del consiglio, è falso.
La grande umiltà e compostezza del giornalista lo ha portato a subire quella decisione in silenzio, la dignità di cui era maestro lo ha tenuto lontano da i piagnistei che avrebbe potuto fare additando scuse sull'età e sulla carriera.
Questo è uno dei grandi insegnamenti di Biagi, insegnamenti che dovrebbero essere presi a mo di esempio da tutti, sopratutto dalla "casta" che di gente come Biagi ne avrebbe bisogno sempre.
Francamente Berlusconi poteva benissimo star zitto e prendersi le colpe e le conseguenze di quel gesto fascista ed antidemocratico.
Ha fatto bene Luttazzi che, ancora ignaro di cosa sarebbe successo durante la settimana, ha mandato in onda sabato notte come sigla del suo nuovo programma, in onda su La7, l'editto bulgaro di Berlusconi coronandolo con una pernacchia finale.
Ecco, mi piace pensare che anche il maestro Biagi, nella sua educazione e compostezza si sia aggiunto a quella pernacchia, tanto comica quanto liberatoria, nei confronti di uno degli uomini più piccoli della storia d'Italia.
Ciao Biagi. Ci mancherai.

martedì 6 novembre 2007

CIAO MAESTRO


CREDO CHE LA LIBERTA' SIA UNO DEI BENI CHE GLI UOMINI DOVREBBERO APPREZZARE DI PIU'. LA LIBERTA' E' COME LA POESIA: NON DEVE AVERE AGGETTIVI, E' LIBERTA'.
E.Biagi

Recensioni libri

Anna Politkovskaja: "Cecenia" ed. fandango libri. Voto: *****
Recensione: La verità nuda e cruda raccontata dalle parole della brava giornalista russa ammazzata un anno fa a Mosca. Toccanti testimonianze dal mattatoio Cecenia, gente inerme costretta a subire tutte le angherie possibili e immaginabili. Toccante il racconto del suo rapimento e delle botte prese. La Politkovskaja dimostra, in questo libro, cosa vuol dire giornalismo diretto, fatto sul terreno. Per stomaci forti

Anna Politkovskaja: "Diario Russo 2003-2005" ed. Adelphi. Voto: *****
Recensione: La mole del libro non deve spaventare, a parte la difficoltà di ricordare tutti i cognomi russi, si fa leggere bene. Questo librone ha un effetto pesante dopo averlo letto e riposto nella libreria; entri per 457 pagine in Russia e ne esci distrutto. Pesante ma importante per capire cosa è la Russia adesso.

Anna Politkovskaja: "La Russia di Putin" ed. Adelphi. Voto *****
Recensione: E' il libro che la condanna a morte, troppe le verità e troppi i pugni nello stomaco. da leggere e da ricordare.

Anna Politkovskaja: "Proibito parlare" ed. Mondadori.Voto *****
Recensione: Dalla bellissima introduzione di Adriano Sofri si capiscono i perchè di molte cose. La consapevolezza di una donna sola che non si è lasciata abbattere, che ha lottato sino ad essere ammazzata. Un libro piacevole che si lascia leggere con facilità ma anche qui non mancano i pugni allo stomaco e al viso.

Tiziano Terzani: "Buonanotte signor Lenin" ed. Tea. Voto ****
Recensione. E' la testimonianza toccante della caduta del comunismo, scritta con rigore giornalistico da uno dei migliori giornalisti e narratori italiani. Vale la pena leggerlo perchè è un pezzo di storia. Sembra di viverla pagina dopo pagina, le immagini ti passano dinnanzi come se fossi su uno dei battelli descritti da Terzani, facendoti toccare con mano il sogno e la caduta del comunismo.

Tiziano Terzani: "Lettere dalla guerra" ed. Tea. Voto *****
Recensione: A mio parere il miglior libro di Terzani, anche se si tratta di articoli di giornali raccolti in un unico volume. E' la risposta pacata, serena, pacifica, tollerante alla follia della Fallaci
che subito dopo l'undici settembre additò l'islam e gli islamici come simboli del male nel mondo.
E' un libro da tenere sul comodino da leggere e rileggere per trovare la forza e la pace interiore.

Matteo Collura: "Il maestro di Regalpietra" ed. Tea. Voto ****
Recensione: La vita, le opere, gli aforismi del più grande scrittore siciliano degli ultimi anni. Sto parlando di Leonardo Sciascia, raccontato in maniera lucida e competente da Collura. Un ottimo libro, bello ed interessante. Se si vuole conoscere bene Sciascia ci vuole questo libro, completissimo da tutti i punti di vista. La vita di Sciascia poi, fa da contorno e ci si incolla alle pagine senza volersene più staccare.

Silvana La Spina: "Lo sbirro femmina" ed. Mondadori. Voto ***
Recensione: Bella trama e ottima storia ambientata nella città di Catania, con tutti i suoi pro e contro, sopratutto quando la protagonista è una bella poliziotta con un figlio a carico e divorziata, il tutto è condito dagli stereotipi dei cittadini etnei. E' un buon libro, si lascia leggere e appassiona, forse manca qualcosina in più per fare il salto di qualità ma è un manifesto contro i pregiudizi e una testimonianza diretta della vita siciliana.

Gianni Palma: "Il Silenzio" ed. Piemme. Voto ****
Recensione: Testimonianza cruda e crudele di un poliziotto catanese che si firma con uno pseudonimo (Gianni Palma), racconta il mondo della polizia e della mafia, le vittorie dello stato e le sconfite che la mafia infligge allo stato. E' il racconto di un uomo scomodo che deve compiere delle scelte che potranno lasciare l'amaro in bocca al lettore. Ottimo libro, ben scritto e dettagliato, un buon regalo da fare per chi è appassionato del genere o per far conoscere la realtà della polizia e della mafia a Catania.

Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza: "L'agenda rossa di Paolo Borsellino" ed. Chiare lettere.
Voto ****
Recensione: E' un libro da maneggiare con cura e sopratutto deve essere accompagnato da un gastroprotettore, non perchè sia brutto ma per le cose che ne escono, verità celate da intrighi di stato, mezze verità dette e non dette, nel mezzo la storia di un uomo che con passione e spirito di servizio è andato avanti sino a ritrovarsi dinnanzi a quel destino che molte volte aveva immaginato ma che mai avrebbe voluto incontrare.

Richard Dawkins: "L'illusione di Dio" ed. Mondadori. Voto. **
Recensione: Ha fatto scalpore l'uscita di questa "bibbia" che porta prove importanti sull'inesistenza di Dio. Tutto sommato è un libro discreto che si perde, spesso, nei meandri della biologia, questo per chi come me non è esperto in materia è un incentivo a saltare pagina su pagina. Il tentativo di Dawkins è di dimostrare a livello biologico tutte le contraddizioni insite nella dottrina del creazionismo, per fare ciò avrebbe dovuto scrivere due volumi e non uno.
Vi sono pagine di interesse notevole come le testimonianze sulla chiesa americana ma per il resto si legge a fatica. Per chi volesse saperne in giro c'è di meglio. Vedi Piergiorgio Oddifreddi.

Umberto Galimberti: "L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani" ed. Feltrinelli. Voto *****
Recensione: Chiaro, preciso, dritto come un treno è l'ultimo lavoro del filosofo Galimberti che descrive senza giri di parole la situazione attuale del mondo dei giovani, parla anche delle colpe dei genitori, ormai incapaci di crescere figli, e degli insegnati sempre più distanti dal mondo della scuola. Insomma un libro che dovrebbe girare nelle case e nelle scuole come gira la coca cola. Di facile lettura è fruibile anche da un pubblico lontano dalla filosofia.

Francesco Alberoni: "L'arte del comando" ed. Bur. Voto. ***
Recensione: Semplice e scorrevole, Alberoni manda alle stampe questo manuale con delle pagine di saggezza che sembrano attirare l'attenzione man mano che si va avanti nella lettura. Niente di complicato, solo accenni storici di grandi capi che hanno fatto del comando, nel bene e nel male, un arte. Se si cercano testi più completi conviene rivolgersi altrove.

Greg King: "Ludwing" ed. Storia Mondadori. Voto. ****
Recensione: Qui si parla di una biografia, un libro storico, che però può essere letto benissimo come un romanzo, talmente avvincente e toccante è la storia di Ludwing II di Baviera.
La storia è lunga, conviene documentarsi prima di accedere a questo testo. Qui spicca la figura de re di Baviera, figura misteriosa quanto affascinante. Il testo è ben messo ed è difficile annoiarsi, pur essendo una biografia non ci si stanca, sia per la bravura di King sia per la storia del re di Baviera, avvincente, toccante e drammatica nella sua fine.
Per completare è consigliabile vedere il capolavoro di Visconti, "ludwing", sulla figura del Re di Baviera, girato interamente all'interno dei favolosi castelli della Baviera.

Una triste mattina


Enzo Biagi scrittore, giornalista, presentatore e coscienza civile dell'italia si è spento alle otto di questa mattina, lasciando un vuoto in quest'italia sempre peggio messa.

Saremo, da adesso in poi, tutti più ignoranti. Un grazie per quello che il dott. Biagi Enzo ci ha lasciato.

lunedì 5 novembre 2007

Coming Soon....

Presto sul blog:

-Special Ducati campione del mondo

-Luigi Tenco. Poesia, morte e mistero

-Recensione libri

e molto altro....

Poesie e oltre...

She come over me

Ecco che arriva,
lo sento,
straziante.
Vorrei morire,
morire di morte,
la morte.
Arriva,
è feroce,
rabbiosa, schiuma,
sono inerme.
E se la finissimo qui?
Adesso!
Adesso!
Non può essere.
Devo lacerarmi per sentirmi.
Il petto si squarcia,
sangue, adesso sono vivo.
Vivo!
Vivo.
Ma non voglio.
Basta!
Mi uccidi,
uccidimi!
Voglio portarmi in eterno i tuoi occhi.
Il tuo odore.
Te.

Un pò di poesie...buttate lì, per gioco, per amore, perchè ci si innamora quando non si ha niente da fare...

Embrace and surrended

Vieni mia cara, noi moriamo e rinasciamo,
nella polvere della luna, dall’altra parte del cielo nero.
Credi nel mio sangue, il sangue che bagna la tua anima.
Abbracciami questa notte, abbracciami per bere il mio sangue freddo,
e addormentati nella mia anima abbracciando la mia tomba.
Abbandonami in un amore d’oblio,
la mia anima tornerà a cercarti,
quando tu e i il tuo fottuto amico,
farete un amore maledetto.

Follow me in the down

Seguimi in questa caduta, siamo in due,
eravamo due, poi uno e poi nuovamente due.
Adesso cadiamo nel profondo del nostro essere nulla,
da li saliremo per perderci in un paradiso maledetto,
dove nuovamente saremo giù per i nostri peccati d’amanti.
Svegliami quando cadremo nella nostra gettatezza di esseri esistenziali,
miseri e meschini innamorati in questo universo inquieto d’amore,
dove tutto è esistenza ma non esistenziale,
la mente viaggia veloce in questo sangue avvelenato dalle tue urla.
Un bacio per salvarci dalla croce in cui insieme andremo incontro.

Far Echoes

Lontano sento l’eco della tua immagine remota,
la tua presenza distante mi riporta la croce accettata,
in cui tu ed io ci immolammo per raggiungere quel senso di essere mai sentito,
cammini nella stanza di lui che ti conduce nella luce azzurra dell’essere esperito.
Lontano sento l’eco della tua immagine remota e sento il suono del tuo pianto,
sento che la paura che sentimmo insieme è passata,
mi ritrovo dentro un circolo della paura in cui non riesco ad trovare un uscita,
morire per rivedere il tuo sorriso imbevuto del sangue da cui tu attingesti la tua vita.
L’abbraccio nuovo, tuo e non mio mi porta alla soglia dell’essente mortale che vivo.
In questo gioco maledetto l’eco del tuo sorriso è la lama che mi accarezza la pelle,
portando sollievo e dolore nella mia gioia triste e solare.

The essence of evanescence.

La vanità della tua essenza mi inebria nel mio sorriso amaro e disilluso,
l’angelo che piangendo si pose sulla lapide fredda della mia vita mi riporta con te.
Sento la tua essenza, diametralmente distante al mio amore non vissuto,
un attacco di cuore in ogni momento mi riporta alla realtà mancata e dispersa,
nelle pieghe del mio animo.
Sarà quando la morte e l’amore si abbracceranno che potremmo ritoccarci e ri-toccarci,
sento il freddo della nostra solitudine vissuta in due letti separati da amanti morenti e sanguinanti.
Vedo il caos del tuo cuore distratto perso nell’abbraccio di un amplesso meccanico e ripetuto,
che riapre le porte del desiderio in cui fu bello perdersi e morire.

The madness of choes

Scegliemmo la fede maledetta che ci portò a piangere la causa del nostro amore mortale,
il sacramento che ci tenne nelle nostre braccia pesanti e lacerate dimostrò il suo lato vuoto,
vivemmo e andammo via, maledetti da quel bacio velenoso,
scambiato nel giardino dell’oblio dell’essere in cui era giusto perdersi,
fu il funerale del cuore mai sentito che suonò le campane del nulla.
Scegliemmo la pazzia della scelta creduta,
chiudere quella fiamma con il soffio blu che ci conduce nel turbine del peccato,
compimmo il peccato, incuranti delle correnti esistenziali che intrecciano i destini non morti e non vivi.
La tua mano non calda toccò il mio cuore non vivo nel momento in cui capimmo la follia della scelta.
Tornammo per non perderci, sapendo la vacuità di quella promessa, fragile come le vene in cui il sangue avvelenato ormai circolava.

In honor of Neruda

Il cielo piange lacrime di te,
pianto distratto, asciuto, disperato.
Lacrime di te bagnano il mio amore freddo di tomba,
lontano come un mare non solcato da essenze azzurre di esistenza.
Piango di te quello che non ho avuto.
Le mie parole mi sbattono come una nave in un mare lontano,
nero, asciutto, sconosciuto.
Riaffaccio il mio amore bagnato dalle mie lacrime asciutte di catrame,
aspetto te come un porto d’inverno attende una nave ormeggiata,
banchina di pietra fredda e solitaria,
come il mio cuore nel porto d’inverno.

The sadness

Triste come una rete da pesca abbandonata sulla sabbia,
vidi te.
Il tuo sorriso abbracciò il tuo amante distratto come un raggio che,
nell’alba fresca di un mattino di maggio,
illumina il petalo di rosa bagnato da una leggera lacrima
che pianse amara nella lontana di te.
Leggera come una spiga di grano la tua testa inclinata si lasciava accarezzare
dalla mano di lui che non era me,
me che me ne andai leggero come un onda,
un onda che ribatte e cancella l’orma di te.


Melancholy

La mia malinconia è il mare di te.
Tempo vissuto e perduto nell’abbraccio al veleno condito dal bacio dell’oblio.
Ricordo il tuo liquido caldo venire con me,
nel mondo dell’essere esperito di gioia.
Andavamo in contro alla morte credendola amore,
alla fine il mare di te mi sbattè come una zattera fredda e vana,
sull’inconscio del nulla che nelle vene mi corse.

Thinking of you

Pensai a te come il mare solcato da un vento gelido e mite.
La pioggia cadeva, scoperto il mio cuore,
dal sangue nero che bevvi in onore di te,
che venivi in un altro senza un perché.
Decisi che il volo inutile nelle braccia tue era vano,
come la neve fredda e asciutta.
Solcai il mare con le ali sporche di assenzio,
alla ricerca di quello spazio tra te,
che il destino non mi portò ad essere mai.

Altre notizie sull'arresto di Lo Piccolo

Con loro sono stati arrestati anche i latitanti Gaspare Pulizzi e Andrea Adamo. Il primo è reggente di Brancaccio il secondo di Carini. Tutti inseriti fra i 30 maggiori ricercati d'Italia. I quattro erano impegnati in una riunione fra boss. Le manette sono scattate anche per altri due favoreggiatori. La notizia è arrivata mentre a Palermo si celebra la 'Giornata della memoria' in ricordo di tutte le vittime della mafia. I Lo Piccolo sono stati arrestati in una villetta in cemento totalmente ammobiliate. Al contrario di Bernardo Provenzano, che viveva in un casolare immerso nelle campagne, i due boss erano in appartamenti veri e propri, anche se periferici, vicino al mare. E per le indagini è stato decisivo il contributo di un nuovo pentito, Francesco Franzese, che è stato il fiduciario del boss nella gestione delle estorsioni. Il blitz ha impegnato circa quaranta agenti della sezione Catturandi della squadra mobile, la stessa che ha messo le manette a Bernardo Provenzano. I poliziotti hanno fatto irruzione nella villetta dopo aver circondato la casa in cui si trovavano i quattro latitanti, che erano riuniti nel garage. Erano tutti armati. Gli agenti hanno pure sparato alcuni colpi di arma da fuoco. Durante le fasi concitate della cattura Sandro è uscito dalla casa in lacrime urlando più volte "ti amo papà". I due sono rimasti barricati per qualche minuto nella villetta. Nel covo sono stati trovati documenti, denaro e armi. In particolare in un borsone i poliziotti hanno trovato otto pistole. Tra queste: una è in dotazione alle forze di polizia, l'altra ha la matricola abrasa e una terza ha il silenziatore. Rinvenute anche numerose agende zeppe di appunti, soldi, e alcuni "pizzini" recuperati in bagno. Nella villetta c'è un cane meticcio di colore bianco di grossa taglia molto tranquillo. E' accucciato e guarda i poliziotti svolgere il loro lavoro.

Bella giornata per la legalità


E' giunta da poco la notizia che la Polizia ha arrestato il latitante e boss Salvatore Lo Piccolo.

Dopo l'arresto di Provenzano era salito al vertice della mafia. Arrestato anche il figlio di Lo Piccolo, boss emergente della malavita palermita.

Oltre a loro sono stati arrestati altri due componenti. Il blitz si è svolto nelle campagne di Montelepre, all'interno di un abitazione si stava tenendo un summit mafioso.

Un grazie agli uomini della polizia di stato che ancora una volta hanno dimostrato il loro valore all'interno di uno stato che fa di tutto per non farli operare come si deve.

Questione romena o questione italiana?

Forse era la logica conseguenza di un periodo nefasto, forse in uno stato civile e progredito un fato del genere non sarebbe successo o se fosse successo avrebbe fatto capire, invece di creare odio, intolleranza, xenofobia e quelle squallide diatribe tra maggioranza ed opposizione.
I fatti sono, purtroppo, ormai noti.
Un romeno, Nicolau Mailat picchia, violenta ed uccide una donna che poco prima era scesa dal treno che dal centro di Roma la riportava a casa a Tor di quinto, Roma nord.
Una cosa è saltata agli occhi, subito, il degrado di quella stazione e di quella zona dove da tempo immemore vi è una baraccopoli messa su alla "bene e meglio".
Non voglio parlare del'azione bestiale e illogica compiuta da quest'uomo su quella povera donna, si è già detto tanto.
Vorrei partire dall'esempio di civiltà che ha dato il marito, capitano di corvetta nella marina militare italiana, per arrivare all'increscioso esempio che ha dato la società italiana capitanata da quei vigliacchi e meschini che hanno aggredito, a Roma, dei romeni onesti e lavoratori.
Ecco dove si trova l'inghippo o per dirla alla Montalbano il "busillisi".
I giornali, su tutti quelli capitanati dalla voce del padrone; Libero, Il Giornale e compagnia hanno dato inizio ad una campagna di odio e di razzismo degna del miglior periodo nazista in germania.
Perchè, invece di andare addosso ai romeni non si è cercato di capire come questo sia stato possibile? Perchè l'opposizione riversa tutte le colpe su una maggioranza, si incapace, ma da poco al governo? Perchè la maggioranza invece di tentare di far contenti tutti, non ha iniziato a vedere come stanno le cose e le condizioni di vita degli extracomunitari, che ormai in massa giungono nel nostro paese?
Sono poche domande che nessuno si è posto e a cui nessuno da una risposta.
Ieri nel bellissimo editoriale di Scalfari su "La Repubblica" si sono toccati temi simili e mi è piaciuto molto il clima di dialogo che il direttore ha messo per iscritto. Bisognerebbe ragionare così per venirsi incontro.
E' vero quello che dice Scalfari:"l'ondata di extracomunitari non si arresterà, ne da nord ne da sud." ossia: continueranno ad arrivare quell dell'est e quelli dell'africa, inutile cercare scuse. "Tra l'altro", riprende Scalfari "aumenteranno i flussi dell'est in quanto corrono meno rischio rispetto agli africani, non devono solcare mari ma necessitano solo di salire su un pulmann o su un treno ed il gioco è fatto. Passano le frontiere presentando un documento." Sono cittadini europei, aggiungo io.
In questi giorni il ministro degli interni romeno ha detto la verità:"i nostri connazionali vengono in Italia perchè i crimini non vengono puniti." Bello, chiaro, senza giri di parole.
Gianfranco Fini intervistato ieri da Lucia Annunziata si è detto sconvolto dall'affermazione del ministro romeno.
Ha ragione. Ma ha anche torto. Cosa che puntualmente la Annunziata ha fatto presente.
Ha ragione perchè è vergognoso quello che nel passare degli anni è diventata l'Italia, ognuno fa quello che gli pare e con chi gli pare, la polizia è inerme, poca e malmessa. La giustizia iniesistente, lenta e solo alcuni vengono puniti, di solito i più iniermi.
Ha torto perchè per cinque anni con una maggioranza assoluta lui e la sua combriccola non ha combinato nulla, anzi, ha sfasciato quel poco di buono che ci stava, anche se adesso non mi viene in mente cosa.
Luttazzi sabato è tornato in tv e se ne sentiva il bisogno. In dieci minuti ha demolito il governo di centrosinistra mettendo all'indice tutto ciò che non andava e anche ammesso, onestamente, che ha votato Prodi perchè l'lternativa era lo squallore. Ha ragione.
Da buon satirico, Luttazzi ha fatto anche il bravo politico ponendo una domanda: "Cosa ci fanno i tossicodipendenti in carcere? non sono criminali". quelli sono posti tolti ai veri criminali che a causa delle carceri piene sono in giro a commettere reati e i reati li commettono gli italiani come i romeni, come i lombardi, i sardi, i liguri e via per tutte le regioni d'Italia.
Si discute,adesso, sull'approvazione del decreto sulla sicurezza. Per ora sta venendo fuori la maturità della politica; Berlusconi non lo vota, Fini si. Oggi è la sinistra a non volerlo votare insieme alla cdl. Siamo messi bene.
Intanto sono state effettuate le prime espulsioni. si. Quattro.
Non è comica ma è la realtà, venerdì sera da malpensa quattro romeni sono stati rispediti a casa, forse per il prefetto di Milano il problema si è risolto, per la gente no.
Forse verrà rimpatriata anche Emilia, la romena che ha dato per prima l'allarme, così, tanto per essergli riconoscente e per non fare di tutta l'erba un fascio.
A Roma ci sono 26.268 romeni. Quanti ne vogliono rimpatriare? ventiseimila? I romeni fanno parte dell'11% della popolazione Italiana. Quanti ne dobbiamo rimpatriare? il nove virgola nove?
Stiamo andando alla deriva. Tutti. Italiani e non.
Non si tratta di rimpatriare, si quello ci vuole ma non basta. Serve la certezza della pena.
Chiunque, italiano, polacco, francese, tedesco, spagnolo, romeno, arabo compie un atto che infrange la comune convivenza e duole la civile società deve pagare!! senza fronzoli!!
Il romeno che ha ucciso Giovanna Reggiani deve pagare come Angelo Spagnoli che nella sua follia ha sparato a 17 persone ferendone gravemente tre.
Sono due casi che possono sembrare lontani ma che in realtà sono accumunati da follia e disagi. Se ne mandiamo a casa uno dobbiamo mandare via anche l'altro. entrambi hanno fatto del male alla società. Pensiamoci bene.

domenica 4 novembre 2007

Rieccomi

dopo un pò di tempo sono tornato più incazzato e cattivo di prima.....nei prossimi giorni ne leggerete delle belle.....ci si becca....DR. Philosophicus ;)

giovedì 21 giugno 2007

Quattro piccoli uomini e un fatto gravissimo

Paolo Forlani
Monica Segatto
Enzo Pontani
Luca Pollastri
Agenti della Polizia di Stato in forza alla Questura di Ferrara.
Devono rispondere di omicidio colposo, per aver cagionato o comunque concorso a cagionare la morte di Federico Aldrovandi, omettendo di prestare le prime cure su richiesta dello stesso Aldrovandi che aveva più volte chiesto aiuto. Il "basta" urlato più volte dal povero ragazzo non valse ad interrompere l'azione violenta dei quattro, che una volta ammanettato, continuarono a picchiarlo sino ad ucciderlo.
Adesso per questi quattro piccoli uomini è arrivato il tempo della legge. Di quella legge che, chissà quante volte si saranno vantati di difendere e di far rispettare.
Il merito va a queste due persone: Silvia Migliori (gup) e Nicola Proto(pm) loro la legge si, che la fanno rispettare. Buon lavoro.

Iniziano a rotolare le teste....


La verità è un fiume in piena che travolge tutto e tutti. La si può ingabbiare, nascondere ma non cancelare. In Italia si è molto bravi nella seconda ipotesi, cioè, cancellare. Questa volta però c'è stato poco da fare.
E' storia recente, il primo colpo di martello lo ha dato il vicequestore Fournier. Si era capito subito dell'importanza della cosa perchè in meno di 24 ore era arrivata una smentita che invece di smetire, affermava.
Affermava ed afferma che a Genova è successo di tutto. Affermava ed afferma che a Genova non sono stati i poliziotti ragazzini, o qualche sprovveduto a fare quello hanno fatto. No. Affermava ed afferma che in quell'inferno, solo delle menti fini potevano metterci mano; questori, vicequestori, commissari e.... vedremo un pò chi altro ha danzato con il diavolo quella notte d'inferno.
E' di ieri la notizia che il capo della polizia è indagato per il blitz della scuola Diaz. Le accuse sono molto gravi: Istigazione alla falsa testimonianza, per un uomo che ha studiato legge e che ha lavorato a capo della polizia di stato sono accuse pesanti ed infamanti.
Induzione e istigazione alla falsa testimonianza. La reente iscrizione nel registro degli indagati del prefretto Gianni De Gennaro sarebbe legata ad un indagine aperta nel corso del processo per il blitz alla scuola Diaz.
Si parla di un piano studiato a tavolino per scagionare alcuni e incolpare altri, (nel classico stile italico) le accuse della locale della procura a De Gennaro sono conseguenza del fascicolo per "falsa testimonianza" di Francesco Colucci che sei anni fa era il questore del capoluogo ligure. Il tre maggio Colucci viene interrogato in aula, e dinnanzi alle domande del pm era caduto in una sorta di amnesia cronica degenerativa, condita da contraddizioni e da "non ricordo" (sempre italian style) ah! dimenticavo! pure lunghi silenzi (italian style e sicily style)
Tutto ruoterebbe intorno alla presenza alla scuola Diaz , quella notte lunga dello stato italiano, dell'uomo che allora era l'addeto stampa del capo della polizia: Roberto Sgalla.
Interrogato dai pm Francesco Cardona Albini ed Enrico Zucca, nell'Ottobre del 2001 Francesco Colucci raccontò che subito dopo aver deciso la perquisizione dell'istituto- e prima ancora di fare irruzione- ricevette una telefonata da De Gennaro, che durante il vertice non si era mosso da Roma: "Mi disse di avvertire Sgalla". Era mezzanotte, l'addetto stampa a sua volta chiamò giornali e televisioni: c'era aria di arresti, di riscatto, di clamore e di sangue, aggiugno io.
Dopo due giorni di guerriglia urbana le forze dell'ordine volevanodimostrare di aver ripreso in mano la situazione.
Interrogato nel 2002 De Gennaro smentisce tale versione,(chi la dice la verità allora?non due, ma una sola è la verità), "Il dottor Colucci ricorda male" afferma De Gennaro, "Ricordo bene che ordinai sobrietà , misura e prudenza nel dare la notizia dell'evento.
Succede che sei anni dopo Colucci, interrogato perchè indagato insieme a 25 agenti e super poliziotti, ci ripensa(ancora tipico stile italiano di bassissimo livello) "Fui io a chiamare Sgalla, lo giuro dinnanzi a Dio e allo stato". Caspita!
I giudici non si fanno intenerire e lo iscrivono nel registro degli indagati ed , aggiungo io, anche nella lista di attesa di un manicomio criminale dopo quel giuramento.
Ecco che dopo Colucci arriva a fargli compagnia De Gennaro, nella lista degli indagati. Quest'ultimo accusato di aver indotto un suo subalterno a raccontare l'altra verità sulla Diaz.
Ma non è finita. ci mancherebbe! Siamo in Italia è il sipario non si abbassa mai!
Pierferdinando Casini vede nella rimozione di De Gennaro (inquisito) un "gesto di arroganza da parte della sinistra al governo."
Ma quale gesto di arroganza! Il 9 Aprile De Gennaro presenta le dimissioni al ministro dell'interno Amato. Le dimissioni vengono respinte perchè in De Gennaro "si ha piena fiducia"e che se di dimissioni si doveva parlare occorreva aspettare il 7° anno del mandato di De Gennaro.
Arroganza? io ci penserei bene ad usare quella parola, caso mai quella giusta da usare sarebbe "cmmistione".
Partono adesso le campagne di solidarietà della destra verso il capo della polizia, altro modo italiano di far vedere come si può convivere con tutti e con tutto.

venerdì 15 giugno 2007

Quello che le donne non dicono...

GENOVA - Vive da qualche parte in città. Prigioniera del ricordo, inseguita dalla paura che sia rimasto poco tempo al suo anonimato. Il suo avvocato ripete a Repubblica che non ha nessuna intenzione di parlare. "Tantomeno a dei giornalisti". Ma sa bene che prima o poi dovrà farlo con i pubblici ministeri che da dodici mesi stanno pazientemente dando un volto alle spaventose ombre della caserma di Bolzaneto. E che ormai sanno.E' una donna di 44 anni. Un medico generico, con studi a Genova e in Lombardia e una collaborazione mai interrotta con l'Amministrazione penitenziaria, la cui storia aggiunge ora alla vergogna di quei giorni del luglio scorso una nuova nota di umiliante sopraffazione. Di lei oggi si sa per il racconto che ai pubblici ministeri ha consegnato in questi mesi una delle sue asserite vittime, un ragazzo. Precipitato con altre decine di fermati nelle gabbie del disonore, là su, in quel buco nero sulla collina che chiamavano "centro di detenzione temporanea".Spogliarsi a comando di fronte ad un estraneo in divisa, segnati dalle ecchimosi e dal sangue delle percosse, dalla sporcizia e il sudore di una fuga finita sull'asfalto, non è semplice. Farlo da detenuti di fronte a un medico non del proprio sesso lo è ancora di meno. A Bolzaneto accadeva anche questo, per l'umiliazione di tutti e l'eccitazione greve dei presenti. Le donne di fronte agli uomini: i due medici di turno, infermieri o agenti di custodia che fossero. Gli uomini di fronte a lei, la donna medico che ora vive nascosta, e ad una sua collega. Racconta il ragazzo ai magistrati: "Mi disse di spogliarmi e, nudo, le rimasi davanti per parecchi minuti. In silenzio. Prese a scrutarmi e quindi si rivolse al suo collega, un uomo: "Quasi, quasi, questo comunista me lo farei". E lui di rimando: "Guarda che i comunisti sono tutti froci". Un infermiere che assisteva alla scena li interruppe: "Se non sono froci, come minimo hanno la sifilide"".Omissioni - Per le violenze di Bolzaneto qualcuno pagherà. Presto. Forse prima di altri. E non solo "quella" donna, quel "medico", che ai pochi cui si è confidata ha consegnato un unico ossessivo ricordo di chi ebbe a sfilarle di fronte: "Le decine di piercing spesso saldati nelle parti intime e comunque sempre estratti con le pinze". Nonostante il silenzio che ha avvolto l'istruttoria, quasi fosse un accidente minore dei giorni di Genova e l'ostentata omertà degli apparati che ne ha minato e ne mina ancora il cammino, la Procura ha già pronta una prima consistente serie di avvisi di garanzia, che, verosimilmente, raggiungeranno i loro destinatari quando Genova avrà consumato questa settimana di ricordo e di lutto. Dodici i nomi già identificati e iscritti nel registro degli indagati.I tre responsabili della "gestione dei fermati", dunque delle pratiche di identificazione, fotosegnalazione, visite mediche e avvio alle carceri: un maresciallo della polizia penitenziaria e due funzionari di polizia (il vice questore Alessandro Perugini e una donna, il vicequestore Anna Poggi di Torino). Quindi, la catena gerarchica che a loro faceva capo: due ufficiali della polizia penitenziaria responsabili del contingente delle guardie carcerarie; due tenenti dei carabinieri; cinque ispettori di polizia. Nessuno di loro usò violenza ai fermati.
Ma nessuno di loro - argomenta la pubblica accusa - la impedì, pur avendone la piena percezione. Pur sapendo che in quelle gabbie si stava consumando l'intero campionario dell'umiliazione e a pieno regime la fabbrica dei falsi produceva verbali posticci da estorcere alla volontà piegata dei fermati. La circostanza non chiude evidentemente il circuito delle responsabilità. Lo sa la Procura di Genova, lo sanno le circa 360 parti lese. E dunque: chi allora quella violenza non solo non la impedì ma la usò nelle sue inesauribili varianti?Infermieri - Per molti mesi, un solo nome ha ballato nel registro degli indagati. Il dottor Giacomo Toccafondi, medico chirurgo in tuta mimetica della polizia penitenziaria, la cui storia e responsabilità vennero sottratte agli occhi della pubblica opinione da un accidente del destino. Che lo sorprese indagato nel salire i gradini della Procura l'11 settembre 2001, mentre il mondo guardava all'orrore del martedì di sangue del Pentagono e delle Torri Gemelle. Epperò, sei mesi di ricognizioni fotografiche su parvenze di foto-tessera e istantanee sbiadite dal tempo, dolosamente consegnate alla Procura dagli apparati perché capaci di grippare anche il più vivido dei ricordi sugli uomini in servizio a Bolzaneto, un qualche risultato lo hanno prodotto. In un estenuante pellegrinaggio di parti lese, che ha portato i pubblici ministeri anche in Germania e Inghilterra, dodici tra agenti di polizia e guardie carcerarie sono stati identificati con relativa certezza.Non più ombre nelle gabbie, pugni anonimi in guanti di pelle, ma persone in carne ed ossa. Sommati ai 12 responsabili temporanei della struttura già indagati fanno salire la contabilità dell'istruttoria a ventiquattro nomi. Abbastanza per isolare una parte almeno di una catena di violenze protrattasi 76 ore e forse azzardare, presto, una prima serie di riconoscimenti personali. Ma anche per rendere merito a chi per primo, spontaneamente, ebbe il coraggio di denunciare la vergogna dall'interno, rompendo il patto omertoso dei violenti e pagandone il prezzo. A un infermiere bolognese dell'amministrazione penitenziaria. Marco Poggi. In servizio distaccato alla caserma di Bolzaneto dalle ore 20 del 20 luglio alla sera del 22. Da allora, la sua vita non è più la stessa.A cinquant'anni è diventato "un infame" per aver semplicemente assolto al suo dovere e non aver smarrito la coscienza di uomo. Colleghi abituati a voltarsi dall'altra parte non gli perdonano quel sussulto di dignità che, in lacrime, lo ha spinto a firmare un verbale di "spontanee dichiarazioni" che ha trasformato le denunce di ragazzi e ragazze cui pochi intendevano credere in "verità" istruttorie.Che ha consentito alla Procura di individuare con assoluta certezza almeno due responsabili delle violenze: il chirurgo Giacomo Toccafondi e un agente di polizia penitenziaria. Dal luglio scorso, Poggi, formalmente "in aspettativa", non ha più potuto mettere piede in carcere. I superiori gli consigliano di "cambiare aria". Qualcuno lo ha avvertito: "Non vorrei dover essere io, un giorno, a farti in galera la visita medica del "nuovo giunto"".Isolata, in Parlamento, si è levata qualche giorno fa la richiesta del senatore dei Ds Aleandro Longhi di riconoscergli la medaglia al valore civile. Lo stesso Parlamento nei cui archivi - con protocollo 2001/0036164/GEN/COM Camera dei deputati - l'inedito verbale di Poggi, così come reso ai pm genovesi, è stato riservatamente acquisito per poi essere rapidamente dimenticato.Il verbale - Racconta Poggi: "I gabbioni erano nove e quando i fermati erano ritenuti idonei ad esservi collocati venivano dichiarati, con eufemismo, "abili e arruolati". (...) Ovunque sostassero all'interno della struttura - gabbione o corridoio - venivano posizionati in piedi, con le gambe divaricate, le mani larghe e la testa appoggiati al muro. Non dovevano muoversi, né parlare e così spesso dovevano rimanere per molte ore. Chi parlava o si muoveva veniva percosso". Nell'infermeria, il "medico" pensava a dare il resto: "Alcuni detenuti, che non sapevano come fare la flessione di routine prevista dalla perquisizione di primo ingresso in carcere, venivano presi a pugni e calci dagli agenti di polizia penitenziaria. Ho visto il medico in tuta mimetica (Toccafondi), anfibi e maglietta blu, togliere un piercing dal naso di una persona, far allargare le gambe di alcuni detenuti con piccoli calci alle caviglie e dare un ceffone. Al contrario di come espressamente previsto dall'Amministrazione a nessuno veniva chiesto come si fossero provocate ferite ed escoriazioni e non venivano neppure redatti referti medici. Venivano fatte considerazioni ad alta voce, come "Sei un brigatista", "te lo do io Che Guevara..."". Fuori dall'infermeria ognuno si sentiva in dovere di abbandonarsi al peggio. Ancora dal verbale: "Sia la sera del 20 che nella notte tra il 20 e il 21 luglio ho visto poliziotti e agenti di polizia penitenziaria (sia del Gom che del nucleo traduzioni) picchiare con violenza e ripetutamente i detenuti presenti. Con calci, pugni, schiaffi, testate contro il muro. Intorno alle 15.30 del 22, ho visto trascinare un detenuto in bagno da quattro agenti di polizia penitenziaria. Gli dicevano: "Devi pisciare, vero? Hai detto che devi pisciare, vero? Poi, una volta arrivati nell'androne, ho sentito che lo sottoponevano ad un vero e proprio pestaggio. Ho visto distruggere un cellulare con il tallone di un anfibio, e un agente della polizia di stato che, approfittando della finestra aperta, faceva sentire in un gabbione la suoneria del suo telefonino che suonava Faccetta nera". Naturalmente, l'Inferno aveva i suoi gironi e guai a finire nel più basso: "Alcuni ragazzi, venivano battezzati benzinai per l'odore di benzina che facevano, e ricevevano un trattamento "speciale". Ancora più violento...".Il ministro e i carabinieri - Di quel che accadde nei gabbioni, il ministro di Grazia e giustizia Claudio Castelli - è noto - non ebbe percezione. O almeno così dichiarò di fronte alla commissione di inchiesta parlamentare, ricostruendo la sua visita a Bolzaneto nella notte tra il sabato 21 e la domenica 22 luglio. Trenta minuti, tra l'una e trenta e le due del mattino. Due passi all'interno della "sola struttura di pertinenza della polizia penitenziaria", sufficienti a concludere che tutto si svolgeva secondo regola ("Ho visto alcune persone in piedi con le gambe allargate e la faccia contro il muro e quando chiesi spiegazioni mi dissero che serviva ad impedire che i fermati dessero fastidio a una ragazza. Ma non ho assistito a pestaggi o scene di violenza").Una spiegazione che ha ritagliato alla testimonianza del ministro una posizione defilata nell'economia dell'inchiesta della Procura e che anche l'Arma ha provato a spendere, ma con scarsa fortuna. A stare ai piani della vigilia, a Bolzaneto i carabinieri non dovrebbero proprio esserci. Perché hanno la loro di caserma (Forte san Giuliano) cui badare. Ma all'alba del 21 luglio, dopo la morte di Giuliani e l'immediata decisione di cancellare la presenza di quelle divise dalla piazza, l'allora questore Colucci decide di prelevarne due unità in piazza Fontane Marose per spedirle di rinforzo sulla collina dove ormai gira a pieno regime la fabbrica della violenza. La Procura ha accertato che sono trenta militari ausiliari del "Battaglione Sardegna" agli ordini di due tenenti di complemento (ora indagati, come detto). Restano a Bolzaneto dalle 7 del mattino alle 22 di sera del 21 luglio, di piantone a più "camere di sicurezza" dove una cinquantina di fermati vengono prelevati uno alla volta per essere "visitati" e fotosegnalati. Nella loro relazione - acquisita dai pubblici ministeri - i due tenenti scrivono: "...nulla si rileva in ordine a presunti maltrattamenti nelle camere di sicurezza a noi affidate".E' una clausola di stile che dice una mezza verità. O almeno così ritiene la Procura. Perché se è vero che in quelle camere di sicurezza violenze sui singoli non ve ne furono, è altrettanto vero che soltanto un sordo o un cieco avrebbe potuto ignorare o quantomeno non notare neppure per un istante quale scempio si consumava all'interno di quel complesso che chiamavano carcere. Un fatto è certo: l'esperienza deve aver segnato quei trenta carabinieri che "nulla videro o sentirono". Non uno di loro (tenenti compresi), oggi, è ancora nell'Arma.

Le prove false...

Da “La Repubblica” del 28 Luglio 2002

GENOVA - "Le due molotov nella scuola Diaz le ho portate io. Ho obbedito all'ordine di un mio superiore". La confessione-choc di A.B., 25 anni, autista della Polizia di Stato aggregato a Genova nei giorni del G8, è stata raccolta in gran segreto dalla Procura nei giorni scorsi. C'è voluto un anno intero, perché qualcuno si decidesse finalmente a dire la verità: il primo "pentito" delle forze dell'ordine ha vuotato il sacco, facendo nome e cognome dell'ufficiale che gli avrebbe imposto di trafugare le bottiglie incendiarie per "giustificare" i pestaggi e i 93 arresti nell'istituto di via Battisti.Dopo qualche istante di comprensibile emozione, A.B. avrebbe risposto all'ultima domanda dei pm indicando il vice-questore Pietro Troiani del Reparto Mobile di Roma, l'ex delfino di Canterini già indagato per falso e calunnia dopo essere stato tirato in ballo da un collega, Massimiliano Di Bernardini, accusato di aver cucinato alla buona le informazioni che innescarono la famigerata irruzione del 21 luglio 2001. In poche pagine di verbale c'è l'intero racconto - preciso, dettagliato e sconvolgente - di quel sabato maledetto.
Il vergognoso "giallo" della Diaz si chiude così? No, troppo semplice. Se questo è uno dei capitoli più emozionanti, la verità è purtroppo un'altra ancora, almeno per chi indaga. Manca il finale, ormai neppure troppo a sorpresa, un finale che verrà forse scritto martedì dai super-poliziotti convocati in tribunale per un drammatico confronto all'americana.Tutto, ha ricordato l'agente nel corso dell'interrogatorio, cominciò in corso Italia, mentre la televisione trasmetteva le immagini dei black bloc che devastavano i negozi sul lungomare genovese e il questore ordinava le prime cariche, quelle di cui avrebbero fatto le spese i trecentomila del corteo pacifista. La testimonianza di A.B. si incastra perfettamente con quella del vice-questore Pasquale Guaglione, che il 10 giugno scorso davanti ad un giudice di Bari parlò per la prima volta delle molotov "fasulle". I due sabato pomeriggio sono insieme, il ragazzo - ufficialmente a disposizione di Valerio Donnini, lo "stratega" dei nuclei anti-sommossa - in quelle ore fa da autista al funzionario. In un'aiuola di corso Italia, al termine di una carica, recuperano due bottiglie di vino (Merlot e Colli Piacentini) piene di liquido infiammabile e con lo stoppino. Le consegnano ad alcuni poliziotti che viaggiano a bordo di un fuoristrada Magnum del reparto Mobile, destinato a raccogliere tutte le armi abbandonate sul campo di battaglia. Al termine della giornata di scontri il Magnum finisce nel cortile interno della questura. E le due molotov restano a bordo.In serata, dopo una riunione tra i vertici della Polizia di Stato presenti a Genova per il G8, Valerio Donnini telefona a Vincenzo Canterini: c'è da fare irruzione in quella scuola di via Battisti, presunto covo di black bloc. Dalla questura esce il Magnum, ed al volante c'è proprio A.B.: che arrivato davanti alla Diaz obbedisce agli ordini del vicequestore Troiani, uno che ufficialmente non avrebbe neppure dovuto essere lì."Un ragazzo esuberante, uno sempre pronto all'azione e disposto a tutto pur di farla da protagonista: una 'testa calda', insomma". Così i super-poliziotti cominciano a descrivere Troiani appena salta fuori il nome del funzionario, e qualcuno può tradurla in questo modo: mettere le molotov nella scuola è stato un gesto di follia attribuibile a qualcuno che aveva improvvisamente perso il controllo. Invece no: Troiani - e l'autista A.B. - potrebbero essere solo pedine di un gioco più grande, condotto da altri. Altri che, convocati nella Procura del capoluogo ligure, avrebbero davvero cominciato a perdere la testa: fornendo resoconti sempre meno credibili e sempre più contraddittori, oppure rifiutandosi - chissà mai perché, se non c'è nulla da nascondere - di rispondere alle domande dei pm.Si parla di pressioni sui testimoni, di tentativi di inquinare le prove. Nel corso degli interrogatori uno dei super-poliziotti avrebbe addirittura fornito una spiegazione sbalorditiva, tirando in ballo altri investigatori ancora, salvo poi ritrattare immediatamente. Forse il solo ad aver detto la verità, tutta la verità, è il giovane poliziotto che ha confessato candidamente: "Le molotov le ho messe io, me l'avevano ordinato".

Per capirci un pò di più...

SCUOLA DIAZ, 21 LUGLIO 2001: FATTI E MENZOGNE
Il documento è disponibile sul sito del comitato.
Scheda riassuntiva a cura del Comitato Verita’ e Giustizia per Genova – www.veritagiustizia.it
I FATTI
Nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 un gruppo di agenti delle forze dell’ordine ha fatto irruzione nei locali della scuola Pertini/Diaz per effettuare una perquisizione ai sensi dell’articolo 21 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Quella perquisizione si e’ conclusa con 93 arresti e 82 feriti con tre prognosi riservate: la tedesca Melanie Jonasch (trauma cranico cerebrale, con fattura della rocca petrosa sinistra, ematomi cranici vari, policontusioni al dorso, spalla e arto superiore destro, frattura della mastoide sinistra, ematomi alla schiena e alle natiche), il tedesco Karl Wolfgang Baro (trauma cranico con emorragia venosa) e l’inglese Mark Covell (perforazione del polmone, trauma emitorace, spalla e omero e trauma cranico).
Degli 82 feriti 63 sono stati condotti in ospedale, e i rimanenti 19 sono stati condotti direttamente nel “carcere temporaneo” allestito all’interno della caserma di Polizia di Genova Bolzaneto durante i giorni del G8.
Tutti le persone ospitate all’interno della scuola sono state tratte in arresto con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio e detenzione di bottiglie molotov.
Il 22 luglio il presidente del consiglio Silvio Berlusconi dichiara alle telecamere che “ho avuto questa mattina una telefonata del ministro degli Interni, che mi ha rappresentato il ritrovamento di armi improprie all'interno del Genoa Social Forum e la individuazione di 60 persone appartenenti alle squadre violente che si erano occultate, a dire del ministro, con la connivenza degli esponenti del Genoa Social Forum tra gli esponenti stessi del Genoa Social Forum. […] La notizia mi è stata data come una notizia tendente a chiarire che non c'era una distinzione tra coloro che hanno operato la violenza e la guerriglia e gli esponenti del Genoa Social Forum che anzi, per la notizia che mi è stata data, avrebbero favorito e coperto questa loro presenza''.
Lo stesso giorno la Polizia di Stato organizza una conferenza stampa nel corso della quale i giornalisti non possono fare domande, ma solo ascoltare la lettura di questo comunicato:
Anche a seguito di violenze commesse contro pattuglie della Polizia di Stato nella serata di ieri in via Cesare Battisti, si è deciso, previa informazione all'autorità giudiziaria, di procedere a perquisizione della scuola Diaz che ospitava numerosi giovani tra i quali quelli che avevano bersagliato le pattuglie con lancio di bottiglie e pietre. Nella scuola Diaz sono stati trovati 92 giovani, in gran parte di nazionalità straniera, dei quali 61 con evidenti e pregresse contusioni e ferite. In vari locali dello stabile sono stati sequestrati armi, oggetti da offesa ed altro materiale che ricollegano il gruppo dei giovani in questione ai disordini e alle violenze scatenate dai Black Bloc a Genova nei giorni 20 e 21. Tutti i 92 giovani sono stati tratti in arresto per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio e detenzione di bottiglie molotov. All'atto dell'irruzione uno degli occupanti ha colpito con un coltello un agente di Polizia che non ha riportato lesioni perché protetto da un corpetto. Tutti i feriti sono stati condotti per lecure in ospedali cittadini.
Il 12 maggio 2003 il Gip Anna Ivaldi dispone l'archiviazione delle indagini per il reato di resistenza, con un'ordinanza di archiviazione in cui si afferma che “non può affermarsi, neppure con un minimo grado di certezza, che coloro che si trovavano nella Diaz e che vennero poi arrestati abbiano lanciato oggetti sulle forze di polizia”.. Deve poi escludersi essi abbiano posto in essere atti di resistenza nei confronti del personale di polizia, una volta che questo riuscì ad accedere all'interno della Diaz”.. Il 3 febbraio 2004 vengono archiviate anche le accuse di associazione a delinquere.
LE MENZOGNE
Il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO HA MENTITO: nella scuola non c’erano violenti.
IL CAPO DELL’ANTITERRORISMO HA MENTITO: Non c’e’ stata una pattuglia aggredita.Il 5/9/2001 Francesco Gratteri, oggi capo dell’antiterrorismo, ha dichiarato al comitato parlamentare d’indagine che “le pattuglie andate in ausilio all'altezza della scuola Diaz-Pascoli, occupata da rappresentanti del Genoa Social Forum, vennero colpite dal lancio di oggetti. Le pattuglie, dirette dal dottor Di Bernardini della Squadra Mobile di Roma, dovettero far uso di segnali di emergenza per sottrarsi a tentativi di aggressione con possibili gravi conseguenze”. Queste affermazioni non hanno trovato riscontro nelle dichiarazioni rilasciate dallo stesso Di Bernardini durante l’interrogatorio effettuato Il 17 dicembre 2001 con il Pm Enrico Zucca.
IL PORTAVOCE DELLA POLIZIA HA MENTITO: Le ferite non erano “pregresse”.Alle 2:17 del 22 luglio il portavoce della Polizia di Stato Roberto Sgalla parla ai microfoni di RaiNews24 di “una decina di feriti, la maggior parte erano feriti che non si erano fatti curare precedentemente”. Lo stesso concetto viene confermato nel comunicato stampa del giorno successivo. Dai certificati medici risulta che durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz/pertini sono state ferite 82 persone, tre delle quali in modo molto grave.
IL CAPO DELLA DIGOS GENOVESE HA MENTITO: Dalla scuola non e’ partita una “sassaiola”..Spartaco Mortola, il numero uno della Digos di Genova, ha negato l’evidenza dei filmati girati al momento dell’irruzione dalla scuola Pascoli, l’edificio antistante alla scuola Diaz/Pertini. Mortola. In una nota inviata al capo della Polizia il 5/8/2001 mortola ha dichiarato che “poiché l'immagine è concentrata soprattutto sul portone d'ingresso ed a a causa dell'oscurità, non si nota apparentemente il lancio di oggetti contundenti dai piani superiori all'indirizzo delle forze dell'ordine, anche se lo scrivente conferma, anche in questa sede, che il lancio di oggetti ci fu”.
IL CAPO DELLA MOBILE DI ROMA HA MENTITO: Nella scuola non c’e’ stata resistenza.Il 4 settembre 2001 Vincenzo Canterini, comandante del VII nucleo sperimentale antisommossa del I Reparto Mobile di Roma, ha dichiarato al comitato parlamentare d’indagine che nella scuola Diaz/Pertini “vi sono state persone che, entrando, hanno visto lanciarsi contro delle sedie e quindi hanno reagito”. Uno degli uomini di Canterini, invece, descrive pestaggi immotivati, compiuti in assenza di reazione. Nella relazione di servizio consegnata al questore Colucci il 22 luglio 2001, il vice sovrintendente della Polizia di Stato Vincenzo Compagnone ha dichiarato che nella scuola “notavo operatori ed altri accanirsi e picchiare come belve dei ragazzi, uno di questi era a terra in una pozza di sangue e non dava segni di vita”.
IL QUESTORE DI GENOVA HA MENTITO: Nella scuola non c’e’ stato un tentato omicidio.Nel "telefax urgentissimo" del 22 luglio con cui il Questore Francesco Colucci ha notificato al ministero dell'Interno i risultati dell'operazione di polizia effettuata nella notte precedente, si descrive "una squadra" di poliziotti affrontata da "un giovane tuttora non identificato" che ``si confondeva con le altre persone rintracciate della scuola'', ma solo “dopo essere stato immobilizzato''. Nel documento di Colucci, inoltre, si sostiene che una delle cause che impediscono all'agente Massimo Nucera di identificare il suo aggressore, oltre al buio e alla concitazione, è il "contestuale intervento di numeroso personale", come dire che sul posto c'erano troppi poliziotti. Questa versione dei fatti, e il racconto dello stesso Nucera, sono stati smentiti dai Carabinieri del RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche) di Parma, con due perizie consegnate alla Procura di Genova il 25 maggio e il 7 ottobre 2002..
13 ALTI FUNZIONARI DI POLIZIA HANNO MENTITO: Nella scuola non c’erano molotov.Nel verbale di perquisizione corredato da tredici firme di alti funzionari della polizia di Stato, si descrive il ritrovamento di due bottiglie molotov, ma le indagini successive hanno rivelato una verita’ differente. Il Vicequestore aggiunto Pasquale Guaglione, infatti, ha dichiarato ai PM genovesi Enrico Zucca e Francesco Pinto che quelle bottiglie sono state in realta’ ritrovate da lui sul lungomare di Corso Italia nel pomeriggio del giorno precedente. Adesso tutti riconoscono che quelle due bottiglie sono delle “prove fasulle”, ma nessuno vuole ammettere la propria responsabilita’ nell’accreditarle come prove vere.
Durante il processo per i fatti accaduti nella scuola Diaz/Pertini non si dovra’ stabilire SE sono state falsificate delle prove, SE sono stati commessi dei pestaggi gratuiti, SE sono stati compiuti degli abusi, ma si dovra’ dire CHI e’ responsabile di questi reati in forma diretta o per omesso intervento..

Teatrino all'italiana


L'Italia è una nazione particolare, molto particolare, talmente particolare da non poterla ben definire. é molto difficile, quasi impossibile.
Ieri un vicequestore della polizia di stato dopo sei anni di silenzio ha rotto il muro dell'omertà, si dell'omertà che gravitava e che gravita attorno ad uno dei fatti più incresciosi della storia d'Italia, l'attacco alla scuola Diaz di Genova da parte delle forze dell'ordine, che in una calda notte di Luglio di sei anni fa, portarono l'Italia alla stregua dell'Argentina e del Chile di Pinochet (si è saputo che molti poliziotti durante i pestaggi alla caserma di Bolzaneto inneggiarono canti in suo onore).
Dicevo, non passano ventiquattro ore che un altro rappresentante della polizia di stato inverte la rotta: "Non posso confermare quello che ha raccontato il collega, non sono stati i miei uomini a picchiare i ragazzi alla Diaz, quando sono arrivato dal collega non c'era nessun poliziotto. Fournier urlava Basta! ma non ho visto nessuno." La persona che parla è l'ex capo della squadra mobile Vincenzo Canterini, anche lui indagato per falso.
Mi auguro che la logica mi venga in soccorso senza scomodare matematici e filosofi.
1) Nel giro di 24 ore si sono venute ad incrociare due versioni date da due responsabili che si trovavano nella scuola Diaz.
2)Il Vicequestore Fournier afferma che ha visto "energumeni" picchiare gente inerme e di essersi preoccupato quando ha visto una ragazza con la testa spaccata in fin di vita.
3)Il racconto dell'ex capo della squadra mobile Vincenzo Canterini è diverso: sente le urla del collega mentre si trovava nell'androne della scuola, fatte le scale lo raggiunge e non vede nessuno.
4) Canterini ha detto che non sono stati i suoi uomini a picchiare ma ha affermato che i suoi ragazzi hanno avuto delle colluttazioni, suffragate da una contro perizia che la polizia scientifica ha compiuto su alcuni giubotti dove si trovano dei tagli. Si tratta di controperizia, si, perchè l'esame compiuto dai Ris non riscontra nessun taglio dovuto ad arma bianca. Il Canterini dice e non dice; su dei Tonfa (i manganelli in uso al reparto celere) sono stati riscontrate delle macchie ematiche. "Solo su due dei quaranta in dotazione."
5) allora una colluttazione c'è stata, lo affermano lo stesso ex capo della squadra mobile e le macchie ematiche sui tonfa.
6) Quindi Fournier ha ragione è il racconto che ha fatto sembrerebbe giusto.
7)Canterini afferma che lui e Fournier, dieci giorni dopo l'accaduto, fanno una relazione spontanea al procuratore Lalla in cui raccontano sostanzialmente la stessa storia.
8)Quello che abbiamo letto sin qui sembrerebbe smentire il Canterini. Lui e il collega sono stati nello stesso posto ma hanno visto cose diverse. Possibile? si certo, possibilissimo.
9)Se io ed un mio collega andiamo a Roma non per questo io devo vedere le stesse cose che vede lui. Posso rimanermene in albergo, seduto in un bar, oppure visitare luoghi diversi. Posso farlo e nessuno può dirmi niente. Quando nasce il problema?
10)Se chiamati, io e il mio collega, a fare un resoconto di quanto visto dovrebbero uscire le differenze. Se me ne sono stato in albergo non posso certo raccontare di aver visto S.Pietro, il colosseo e trastevere. Se lo faccio dichiaro il falso, dichiarare il falso è reato, punito dal codice penale. Qui nasce il problema.
11)Non posso dire di aver raggiunto il mio collega e di aver visto nello stesso posto cose diverse da quelle che ha visto lui. Se lo raggiungo al colosseo devo raccontare di aver visto il colosseo, no di non averlo visto mentre l'altro afferma di averlo visto.
12)Nella vicenda raccontata da Canterini vi è un vuoto, il tempo trascorso dall'allora capo della mobile per salire le scale.
13) Ha sentito le urla del collega, ne conosce bene la voce, sono amici, arrivato non trova nessuno. Dove sono finiti gli agenti alla quale erano rivolte le urla di Fournier? Sono scesi? e da dove? chi erano questi uomini che si trovavano in quella scuola e che scompaiono nel nulla in un tempo brevissimo?
14)A chi urla "Basta!!" Fournier? se lo dice da solo? allora è da ricovero forzato.
15) Chi la racconta la verità in questa storia? chi è andato veramente al colosseo o chi non ci è andato ma finge di averlo visto, raccontando una storia diversa, una storia tipicamente italiana, che fa confondere, che spiazza, che ti fa vedere due realtà ma di cui una sola è quella vera.
La vera realtà è il sangue, le urla, i diritti cancellati in quella calda notte di Luglio del 2001.

giovedì 14 giugno 2007

Luce sull'Armando Diaz


Si è squarciato il muro di omertà che dal Luglio del 2001 proteggeva l'operato della polizia di stato nel G8 di Genova.
Si è squarciato il muro. Si doveva squarciare, era inevitabile che accadesse. Anche se è passato un bel pò di tempo, adesso uno spiraglio di luce è entrato in una delle pagine più oscure della misteriosa storia di Italia.
Qualcuno ha parlato, si direbbe se si trattasse di mafia. Ma qui non si parla di mafia, si parla di Stato, di polizia, di poliziotti. Di poliziotti esaltati, di poliziotti usciti fuori dal passato, dall'Argentina, dal Cile, dalla Grecia delle giunte militari, di poliziotti che non hanno nulla a che spartire con la polizia di uno stato Democratico.
Qui si parla di ordini dati dall'alto, non solo, si parla di alti funzionari del governo che stavano in posti che non gli competevano, non solo, si tratta di alti funzionari della polizia di stato che fabbricarono prove false.
Prove false fabbricate da funzionari della polizia di stato, fatte ritrovare nelle aule dell'Armando Diaz per trovare un alibi all'irruzione voluta da gente di Roma.
"Sembrava un mattatoio messicano": queste sono le parole con cui un vero poliziotto, un uomo per bene, uno per cui vale la pena fidarsi della polizia, ha usato per descrivere quello che ha visto dentro quella scuola di Genova il luglio di sei anni fa.
"Energumeni, pestare gente inerme." queste parole sono delle martellate che si scagliano contro quel muro, il muro dell'omertà, che non è solo della mafia ma anche di chi la mafia la dovrebbe combattere.
La combatte la mafia la polizia, ne sono convinto, ne sono convinto perchè molti ragazzi della mia età son morti per l'ideale della legalità, purtroppo però c'è gente in polizia che infanga la memoria dei propri colleghi nella maniera più indegna e meschina prendendosela con i deboli, cn la gente per bene, con chi rispetta il loro lavoro, sapendo quale e quanto sia la fatica che compiono ogni giorno per la sicurezza dei cittadini.
Sono convinto che non tutti i ragazzi che si trovavano nella scuola corressero per la santificazione ma sono anche convinto che questo, in uno stato democratico, non debba essere sinonimo di accanimento e violenza da parte di chi, i violenti, li deve arrestare per metterli lontano dalla società civile, per essere poi recuperati e reinseriti nella società. A Genova è successa una degenerazione, questa è la mia convinzione. Lo stato ha degenerato nei suoi vertici degenerando anche nelle sue membra.
"Neppure il peggiore dei nazisti" ha affermato il vicequestore Michelangelo Fournier, "avrebbe compiuto quegli atti. Prima di essere riconosciuto come funzionario sono stato insultato."
Ecco. questo era il livello di degenerazione, di marciume, di follia in cui ci si trovava in quella notte di Luglio.
Si decide la sorte di 29 agenti che sono sotto processo. Questa è una testimonianza fondamentale per la costituzione di una commissione di inchiesta e dimissionare i vertici della polizia di stato che dopo quell'inferno furono tutti promossi.
"L'unica scienza certa sono le coincidenze" diceva Borges, è una coincidenza che tutto sia accaduto sotto il governo di centrodestra
E' una coincidenza che nella centrale operativa di Bolzaneto vi fosse il sig. Fini a dare indicazioni?
Quante altre coincidenze di questo genere verranno fuori ancora?
Chi ha gestito l'ordine pubblico in quei giorni? Perchè al capo della polizia non è stato mai detto di rendere conto del suo operato?
Tutti i diregenti dei reparti sono stati promossi. Perchè?
Gianni De Gennaro ra ed è capo della polizia. Perchè non è stato preso e rimosso come accade in qualsiasi stato democratico?
"Povera quella nazione che ha bisogno di eroi". Spero che il vicequestore Fournier non diventi un eroe suo malgrado, spero che da imputato al processo abbia un processo equo con una condanna giusta da scontare, che abbia un trattamento in cui siano preservati i suoi diritti. Diritti che invece i suoi colleghi calpestarono, non rispettarono, che derisero, che cancellarono in quella lunga notte, in una delle lunghe, delle troppe notti dello stato italiano.