giovedì 21 giugno 2007

Quattro piccoli uomini e un fatto gravissimo

Paolo Forlani
Monica Segatto
Enzo Pontani
Luca Pollastri
Agenti della Polizia di Stato in forza alla Questura di Ferrara.
Devono rispondere di omicidio colposo, per aver cagionato o comunque concorso a cagionare la morte di Federico Aldrovandi, omettendo di prestare le prime cure su richiesta dello stesso Aldrovandi che aveva più volte chiesto aiuto. Il "basta" urlato più volte dal povero ragazzo non valse ad interrompere l'azione violenta dei quattro, che una volta ammanettato, continuarono a picchiarlo sino ad ucciderlo.
Adesso per questi quattro piccoli uomini è arrivato il tempo della legge. Di quella legge che, chissà quante volte si saranno vantati di difendere e di far rispettare.
Il merito va a queste due persone: Silvia Migliori (gup) e Nicola Proto(pm) loro la legge si, che la fanno rispettare. Buon lavoro.

Iniziano a rotolare le teste....


La verità è un fiume in piena che travolge tutto e tutti. La si può ingabbiare, nascondere ma non cancelare. In Italia si è molto bravi nella seconda ipotesi, cioè, cancellare. Questa volta però c'è stato poco da fare.
E' storia recente, il primo colpo di martello lo ha dato il vicequestore Fournier. Si era capito subito dell'importanza della cosa perchè in meno di 24 ore era arrivata una smentita che invece di smetire, affermava.
Affermava ed afferma che a Genova è successo di tutto. Affermava ed afferma che a Genova non sono stati i poliziotti ragazzini, o qualche sprovveduto a fare quello hanno fatto. No. Affermava ed afferma che in quell'inferno, solo delle menti fini potevano metterci mano; questori, vicequestori, commissari e.... vedremo un pò chi altro ha danzato con il diavolo quella notte d'inferno.
E' di ieri la notizia che il capo della polizia è indagato per il blitz della scuola Diaz. Le accuse sono molto gravi: Istigazione alla falsa testimonianza, per un uomo che ha studiato legge e che ha lavorato a capo della polizia di stato sono accuse pesanti ed infamanti.
Induzione e istigazione alla falsa testimonianza. La reente iscrizione nel registro degli indagati del prefretto Gianni De Gennaro sarebbe legata ad un indagine aperta nel corso del processo per il blitz alla scuola Diaz.
Si parla di un piano studiato a tavolino per scagionare alcuni e incolpare altri, (nel classico stile italico) le accuse della locale della procura a De Gennaro sono conseguenza del fascicolo per "falsa testimonianza" di Francesco Colucci che sei anni fa era il questore del capoluogo ligure. Il tre maggio Colucci viene interrogato in aula, e dinnanzi alle domande del pm era caduto in una sorta di amnesia cronica degenerativa, condita da contraddizioni e da "non ricordo" (sempre italian style) ah! dimenticavo! pure lunghi silenzi (italian style e sicily style)
Tutto ruoterebbe intorno alla presenza alla scuola Diaz , quella notte lunga dello stato italiano, dell'uomo che allora era l'addeto stampa del capo della polizia: Roberto Sgalla.
Interrogato dai pm Francesco Cardona Albini ed Enrico Zucca, nell'Ottobre del 2001 Francesco Colucci raccontò che subito dopo aver deciso la perquisizione dell'istituto- e prima ancora di fare irruzione- ricevette una telefonata da De Gennaro, che durante il vertice non si era mosso da Roma: "Mi disse di avvertire Sgalla". Era mezzanotte, l'addetto stampa a sua volta chiamò giornali e televisioni: c'era aria di arresti, di riscatto, di clamore e di sangue, aggiugno io.
Dopo due giorni di guerriglia urbana le forze dell'ordine volevanodimostrare di aver ripreso in mano la situazione.
Interrogato nel 2002 De Gennaro smentisce tale versione,(chi la dice la verità allora?non due, ma una sola è la verità), "Il dottor Colucci ricorda male" afferma De Gennaro, "Ricordo bene che ordinai sobrietà , misura e prudenza nel dare la notizia dell'evento.
Succede che sei anni dopo Colucci, interrogato perchè indagato insieme a 25 agenti e super poliziotti, ci ripensa(ancora tipico stile italiano di bassissimo livello) "Fui io a chiamare Sgalla, lo giuro dinnanzi a Dio e allo stato". Caspita!
I giudici non si fanno intenerire e lo iscrivono nel registro degli indagati ed , aggiungo io, anche nella lista di attesa di un manicomio criminale dopo quel giuramento.
Ecco che dopo Colucci arriva a fargli compagnia De Gennaro, nella lista degli indagati. Quest'ultimo accusato di aver indotto un suo subalterno a raccontare l'altra verità sulla Diaz.
Ma non è finita. ci mancherebbe! Siamo in Italia è il sipario non si abbassa mai!
Pierferdinando Casini vede nella rimozione di De Gennaro (inquisito) un "gesto di arroganza da parte della sinistra al governo."
Ma quale gesto di arroganza! Il 9 Aprile De Gennaro presenta le dimissioni al ministro dell'interno Amato. Le dimissioni vengono respinte perchè in De Gennaro "si ha piena fiducia"e che se di dimissioni si doveva parlare occorreva aspettare il 7° anno del mandato di De Gennaro.
Arroganza? io ci penserei bene ad usare quella parola, caso mai quella giusta da usare sarebbe "cmmistione".
Partono adesso le campagne di solidarietà della destra verso il capo della polizia, altro modo italiano di far vedere come si può convivere con tutti e con tutto.

venerdì 15 giugno 2007

Quello che le donne non dicono...

GENOVA - Vive da qualche parte in città. Prigioniera del ricordo, inseguita dalla paura che sia rimasto poco tempo al suo anonimato. Il suo avvocato ripete a Repubblica che non ha nessuna intenzione di parlare. "Tantomeno a dei giornalisti". Ma sa bene che prima o poi dovrà farlo con i pubblici ministeri che da dodici mesi stanno pazientemente dando un volto alle spaventose ombre della caserma di Bolzaneto. E che ormai sanno.E' una donna di 44 anni. Un medico generico, con studi a Genova e in Lombardia e una collaborazione mai interrotta con l'Amministrazione penitenziaria, la cui storia aggiunge ora alla vergogna di quei giorni del luglio scorso una nuova nota di umiliante sopraffazione. Di lei oggi si sa per il racconto che ai pubblici ministeri ha consegnato in questi mesi una delle sue asserite vittime, un ragazzo. Precipitato con altre decine di fermati nelle gabbie del disonore, là su, in quel buco nero sulla collina che chiamavano "centro di detenzione temporanea".Spogliarsi a comando di fronte ad un estraneo in divisa, segnati dalle ecchimosi e dal sangue delle percosse, dalla sporcizia e il sudore di una fuga finita sull'asfalto, non è semplice. Farlo da detenuti di fronte a un medico non del proprio sesso lo è ancora di meno. A Bolzaneto accadeva anche questo, per l'umiliazione di tutti e l'eccitazione greve dei presenti. Le donne di fronte agli uomini: i due medici di turno, infermieri o agenti di custodia che fossero. Gli uomini di fronte a lei, la donna medico che ora vive nascosta, e ad una sua collega. Racconta il ragazzo ai magistrati: "Mi disse di spogliarmi e, nudo, le rimasi davanti per parecchi minuti. In silenzio. Prese a scrutarmi e quindi si rivolse al suo collega, un uomo: "Quasi, quasi, questo comunista me lo farei". E lui di rimando: "Guarda che i comunisti sono tutti froci". Un infermiere che assisteva alla scena li interruppe: "Se non sono froci, come minimo hanno la sifilide"".Omissioni - Per le violenze di Bolzaneto qualcuno pagherà. Presto. Forse prima di altri. E non solo "quella" donna, quel "medico", che ai pochi cui si è confidata ha consegnato un unico ossessivo ricordo di chi ebbe a sfilarle di fronte: "Le decine di piercing spesso saldati nelle parti intime e comunque sempre estratti con le pinze". Nonostante il silenzio che ha avvolto l'istruttoria, quasi fosse un accidente minore dei giorni di Genova e l'ostentata omertà degli apparati che ne ha minato e ne mina ancora il cammino, la Procura ha già pronta una prima consistente serie di avvisi di garanzia, che, verosimilmente, raggiungeranno i loro destinatari quando Genova avrà consumato questa settimana di ricordo e di lutto. Dodici i nomi già identificati e iscritti nel registro degli indagati.I tre responsabili della "gestione dei fermati", dunque delle pratiche di identificazione, fotosegnalazione, visite mediche e avvio alle carceri: un maresciallo della polizia penitenziaria e due funzionari di polizia (il vice questore Alessandro Perugini e una donna, il vicequestore Anna Poggi di Torino). Quindi, la catena gerarchica che a loro faceva capo: due ufficiali della polizia penitenziaria responsabili del contingente delle guardie carcerarie; due tenenti dei carabinieri; cinque ispettori di polizia. Nessuno di loro usò violenza ai fermati.
Ma nessuno di loro - argomenta la pubblica accusa - la impedì, pur avendone la piena percezione. Pur sapendo che in quelle gabbie si stava consumando l'intero campionario dell'umiliazione e a pieno regime la fabbrica dei falsi produceva verbali posticci da estorcere alla volontà piegata dei fermati. La circostanza non chiude evidentemente il circuito delle responsabilità. Lo sa la Procura di Genova, lo sanno le circa 360 parti lese. E dunque: chi allora quella violenza non solo non la impedì ma la usò nelle sue inesauribili varianti?Infermieri - Per molti mesi, un solo nome ha ballato nel registro degli indagati. Il dottor Giacomo Toccafondi, medico chirurgo in tuta mimetica della polizia penitenziaria, la cui storia e responsabilità vennero sottratte agli occhi della pubblica opinione da un accidente del destino. Che lo sorprese indagato nel salire i gradini della Procura l'11 settembre 2001, mentre il mondo guardava all'orrore del martedì di sangue del Pentagono e delle Torri Gemelle. Epperò, sei mesi di ricognizioni fotografiche su parvenze di foto-tessera e istantanee sbiadite dal tempo, dolosamente consegnate alla Procura dagli apparati perché capaci di grippare anche il più vivido dei ricordi sugli uomini in servizio a Bolzaneto, un qualche risultato lo hanno prodotto. In un estenuante pellegrinaggio di parti lese, che ha portato i pubblici ministeri anche in Germania e Inghilterra, dodici tra agenti di polizia e guardie carcerarie sono stati identificati con relativa certezza.Non più ombre nelle gabbie, pugni anonimi in guanti di pelle, ma persone in carne ed ossa. Sommati ai 12 responsabili temporanei della struttura già indagati fanno salire la contabilità dell'istruttoria a ventiquattro nomi. Abbastanza per isolare una parte almeno di una catena di violenze protrattasi 76 ore e forse azzardare, presto, una prima serie di riconoscimenti personali. Ma anche per rendere merito a chi per primo, spontaneamente, ebbe il coraggio di denunciare la vergogna dall'interno, rompendo il patto omertoso dei violenti e pagandone il prezzo. A un infermiere bolognese dell'amministrazione penitenziaria. Marco Poggi. In servizio distaccato alla caserma di Bolzaneto dalle ore 20 del 20 luglio alla sera del 22. Da allora, la sua vita non è più la stessa.A cinquant'anni è diventato "un infame" per aver semplicemente assolto al suo dovere e non aver smarrito la coscienza di uomo. Colleghi abituati a voltarsi dall'altra parte non gli perdonano quel sussulto di dignità che, in lacrime, lo ha spinto a firmare un verbale di "spontanee dichiarazioni" che ha trasformato le denunce di ragazzi e ragazze cui pochi intendevano credere in "verità" istruttorie.Che ha consentito alla Procura di individuare con assoluta certezza almeno due responsabili delle violenze: il chirurgo Giacomo Toccafondi e un agente di polizia penitenziaria. Dal luglio scorso, Poggi, formalmente "in aspettativa", non ha più potuto mettere piede in carcere. I superiori gli consigliano di "cambiare aria". Qualcuno lo ha avvertito: "Non vorrei dover essere io, un giorno, a farti in galera la visita medica del "nuovo giunto"".Isolata, in Parlamento, si è levata qualche giorno fa la richiesta del senatore dei Ds Aleandro Longhi di riconoscergli la medaglia al valore civile. Lo stesso Parlamento nei cui archivi - con protocollo 2001/0036164/GEN/COM Camera dei deputati - l'inedito verbale di Poggi, così come reso ai pm genovesi, è stato riservatamente acquisito per poi essere rapidamente dimenticato.Il verbale - Racconta Poggi: "I gabbioni erano nove e quando i fermati erano ritenuti idonei ad esservi collocati venivano dichiarati, con eufemismo, "abili e arruolati". (...) Ovunque sostassero all'interno della struttura - gabbione o corridoio - venivano posizionati in piedi, con le gambe divaricate, le mani larghe e la testa appoggiati al muro. Non dovevano muoversi, né parlare e così spesso dovevano rimanere per molte ore. Chi parlava o si muoveva veniva percosso". Nell'infermeria, il "medico" pensava a dare il resto: "Alcuni detenuti, che non sapevano come fare la flessione di routine prevista dalla perquisizione di primo ingresso in carcere, venivano presi a pugni e calci dagli agenti di polizia penitenziaria. Ho visto il medico in tuta mimetica (Toccafondi), anfibi e maglietta blu, togliere un piercing dal naso di una persona, far allargare le gambe di alcuni detenuti con piccoli calci alle caviglie e dare un ceffone. Al contrario di come espressamente previsto dall'Amministrazione a nessuno veniva chiesto come si fossero provocate ferite ed escoriazioni e non venivano neppure redatti referti medici. Venivano fatte considerazioni ad alta voce, come "Sei un brigatista", "te lo do io Che Guevara..."". Fuori dall'infermeria ognuno si sentiva in dovere di abbandonarsi al peggio. Ancora dal verbale: "Sia la sera del 20 che nella notte tra il 20 e il 21 luglio ho visto poliziotti e agenti di polizia penitenziaria (sia del Gom che del nucleo traduzioni) picchiare con violenza e ripetutamente i detenuti presenti. Con calci, pugni, schiaffi, testate contro il muro. Intorno alle 15.30 del 22, ho visto trascinare un detenuto in bagno da quattro agenti di polizia penitenziaria. Gli dicevano: "Devi pisciare, vero? Hai detto che devi pisciare, vero? Poi, una volta arrivati nell'androne, ho sentito che lo sottoponevano ad un vero e proprio pestaggio. Ho visto distruggere un cellulare con il tallone di un anfibio, e un agente della polizia di stato che, approfittando della finestra aperta, faceva sentire in un gabbione la suoneria del suo telefonino che suonava Faccetta nera". Naturalmente, l'Inferno aveva i suoi gironi e guai a finire nel più basso: "Alcuni ragazzi, venivano battezzati benzinai per l'odore di benzina che facevano, e ricevevano un trattamento "speciale". Ancora più violento...".Il ministro e i carabinieri - Di quel che accadde nei gabbioni, il ministro di Grazia e giustizia Claudio Castelli - è noto - non ebbe percezione. O almeno così dichiarò di fronte alla commissione di inchiesta parlamentare, ricostruendo la sua visita a Bolzaneto nella notte tra il sabato 21 e la domenica 22 luglio. Trenta minuti, tra l'una e trenta e le due del mattino. Due passi all'interno della "sola struttura di pertinenza della polizia penitenziaria", sufficienti a concludere che tutto si svolgeva secondo regola ("Ho visto alcune persone in piedi con le gambe allargate e la faccia contro il muro e quando chiesi spiegazioni mi dissero che serviva ad impedire che i fermati dessero fastidio a una ragazza. Ma non ho assistito a pestaggi o scene di violenza").Una spiegazione che ha ritagliato alla testimonianza del ministro una posizione defilata nell'economia dell'inchiesta della Procura e che anche l'Arma ha provato a spendere, ma con scarsa fortuna. A stare ai piani della vigilia, a Bolzaneto i carabinieri non dovrebbero proprio esserci. Perché hanno la loro di caserma (Forte san Giuliano) cui badare. Ma all'alba del 21 luglio, dopo la morte di Giuliani e l'immediata decisione di cancellare la presenza di quelle divise dalla piazza, l'allora questore Colucci decide di prelevarne due unità in piazza Fontane Marose per spedirle di rinforzo sulla collina dove ormai gira a pieno regime la fabbrica della violenza. La Procura ha accertato che sono trenta militari ausiliari del "Battaglione Sardegna" agli ordini di due tenenti di complemento (ora indagati, come detto). Restano a Bolzaneto dalle 7 del mattino alle 22 di sera del 21 luglio, di piantone a più "camere di sicurezza" dove una cinquantina di fermati vengono prelevati uno alla volta per essere "visitati" e fotosegnalati. Nella loro relazione - acquisita dai pubblici ministeri - i due tenenti scrivono: "...nulla si rileva in ordine a presunti maltrattamenti nelle camere di sicurezza a noi affidate".E' una clausola di stile che dice una mezza verità. O almeno così ritiene la Procura. Perché se è vero che in quelle camere di sicurezza violenze sui singoli non ve ne furono, è altrettanto vero che soltanto un sordo o un cieco avrebbe potuto ignorare o quantomeno non notare neppure per un istante quale scempio si consumava all'interno di quel complesso che chiamavano carcere. Un fatto è certo: l'esperienza deve aver segnato quei trenta carabinieri che "nulla videro o sentirono". Non uno di loro (tenenti compresi), oggi, è ancora nell'Arma.

Le prove false...

Da “La Repubblica” del 28 Luglio 2002

GENOVA - "Le due molotov nella scuola Diaz le ho portate io. Ho obbedito all'ordine di un mio superiore". La confessione-choc di A.B., 25 anni, autista della Polizia di Stato aggregato a Genova nei giorni del G8, è stata raccolta in gran segreto dalla Procura nei giorni scorsi. C'è voluto un anno intero, perché qualcuno si decidesse finalmente a dire la verità: il primo "pentito" delle forze dell'ordine ha vuotato il sacco, facendo nome e cognome dell'ufficiale che gli avrebbe imposto di trafugare le bottiglie incendiarie per "giustificare" i pestaggi e i 93 arresti nell'istituto di via Battisti.Dopo qualche istante di comprensibile emozione, A.B. avrebbe risposto all'ultima domanda dei pm indicando il vice-questore Pietro Troiani del Reparto Mobile di Roma, l'ex delfino di Canterini già indagato per falso e calunnia dopo essere stato tirato in ballo da un collega, Massimiliano Di Bernardini, accusato di aver cucinato alla buona le informazioni che innescarono la famigerata irruzione del 21 luglio 2001. In poche pagine di verbale c'è l'intero racconto - preciso, dettagliato e sconvolgente - di quel sabato maledetto.
Il vergognoso "giallo" della Diaz si chiude così? No, troppo semplice. Se questo è uno dei capitoli più emozionanti, la verità è purtroppo un'altra ancora, almeno per chi indaga. Manca il finale, ormai neppure troppo a sorpresa, un finale che verrà forse scritto martedì dai super-poliziotti convocati in tribunale per un drammatico confronto all'americana.Tutto, ha ricordato l'agente nel corso dell'interrogatorio, cominciò in corso Italia, mentre la televisione trasmetteva le immagini dei black bloc che devastavano i negozi sul lungomare genovese e il questore ordinava le prime cariche, quelle di cui avrebbero fatto le spese i trecentomila del corteo pacifista. La testimonianza di A.B. si incastra perfettamente con quella del vice-questore Pasquale Guaglione, che il 10 giugno scorso davanti ad un giudice di Bari parlò per la prima volta delle molotov "fasulle". I due sabato pomeriggio sono insieme, il ragazzo - ufficialmente a disposizione di Valerio Donnini, lo "stratega" dei nuclei anti-sommossa - in quelle ore fa da autista al funzionario. In un'aiuola di corso Italia, al termine di una carica, recuperano due bottiglie di vino (Merlot e Colli Piacentini) piene di liquido infiammabile e con lo stoppino. Le consegnano ad alcuni poliziotti che viaggiano a bordo di un fuoristrada Magnum del reparto Mobile, destinato a raccogliere tutte le armi abbandonate sul campo di battaglia. Al termine della giornata di scontri il Magnum finisce nel cortile interno della questura. E le due molotov restano a bordo.In serata, dopo una riunione tra i vertici della Polizia di Stato presenti a Genova per il G8, Valerio Donnini telefona a Vincenzo Canterini: c'è da fare irruzione in quella scuola di via Battisti, presunto covo di black bloc. Dalla questura esce il Magnum, ed al volante c'è proprio A.B.: che arrivato davanti alla Diaz obbedisce agli ordini del vicequestore Troiani, uno che ufficialmente non avrebbe neppure dovuto essere lì."Un ragazzo esuberante, uno sempre pronto all'azione e disposto a tutto pur di farla da protagonista: una 'testa calda', insomma". Così i super-poliziotti cominciano a descrivere Troiani appena salta fuori il nome del funzionario, e qualcuno può tradurla in questo modo: mettere le molotov nella scuola è stato un gesto di follia attribuibile a qualcuno che aveva improvvisamente perso il controllo. Invece no: Troiani - e l'autista A.B. - potrebbero essere solo pedine di un gioco più grande, condotto da altri. Altri che, convocati nella Procura del capoluogo ligure, avrebbero davvero cominciato a perdere la testa: fornendo resoconti sempre meno credibili e sempre più contraddittori, oppure rifiutandosi - chissà mai perché, se non c'è nulla da nascondere - di rispondere alle domande dei pm.Si parla di pressioni sui testimoni, di tentativi di inquinare le prove. Nel corso degli interrogatori uno dei super-poliziotti avrebbe addirittura fornito una spiegazione sbalorditiva, tirando in ballo altri investigatori ancora, salvo poi ritrattare immediatamente. Forse il solo ad aver detto la verità, tutta la verità, è il giovane poliziotto che ha confessato candidamente: "Le molotov le ho messe io, me l'avevano ordinato".

Per capirci un pò di più...

SCUOLA DIAZ, 21 LUGLIO 2001: FATTI E MENZOGNE
Il documento è disponibile sul sito del comitato.
Scheda riassuntiva a cura del Comitato Verita’ e Giustizia per Genova – www.veritagiustizia.it
I FATTI
Nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 un gruppo di agenti delle forze dell’ordine ha fatto irruzione nei locali della scuola Pertini/Diaz per effettuare una perquisizione ai sensi dell’articolo 21 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Quella perquisizione si e’ conclusa con 93 arresti e 82 feriti con tre prognosi riservate: la tedesca Melanie Jonasch (trauma cranico cerebrale, con fattura della rocca petrosa sinistra, ematomi cranici vari, policontusioni al dorso, spalla e arto superiore destro, frattura della mastoide sinistra, ematomi alla schiena e alle natiche), il tedesco Karl Wolfgang Baro (trauma cranico con emorragia venosa) e l’inglese Mark Covell (perforazione del polmone, trauma emitorace, spalla e omero e trauma cranico).
Degli 82 feriti 63 sono stati condotti in ospedale, e i rimanenti 19 sono stati condotti direttamente nel “carcere temporaneo” allestito all’interno della caserma di Polizia di Genova Bolzaneto durante i giorni del G8.
Tutti le persone ospitate all’interno della scuola sono state tratte in arresto con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio e detenzione di bottiglie molotov.
Il 22 luglio il presidente del consiglio Silvio Berlusconi dichiara alle telecamere che “ho avuto questa mattina una telefonata del ministro degli Interni, che mi ha rappresentato il ritrovamento di armi improprie all'interno del Genoa Social Forum e la individuazione di 60 persone appartenenti alle squadre violente che si erano occultate, a dire del ministro, con la connivenza degli esponenti del Genoa Social Forum tra gli esponenti stessi del Genoa Social Forum. […] La notizia mi è stata data come una notizia tendente a chiarire che non c'era una distinzione tra coloro che hanno operato la violenza e la guerriglia e gli esponenti del Genoa Social Forum che anzi, per la notizia che mi è stata data, avrebbero favorito e coperto questa loro presenza''.
Lo stesso giorno la Polizia di Stato organizza una conferenza stampa nel corso della quale i giornalisti non possono fare domande, ma solo ascoltare la lettura di questo comunicato:
Anche a seguito di violenze commesse contro pattuglie della Polizia di Stato nella serata di ieri in via Cesare Battisti, si è deciso, previa informazione all'autorità giudiziaria, di procedere a perquisizione della scuola Diaz che ospitava numerosi giovani tra i quali quelli che avevano bersagliato le pattuglie con lancio di bottiglie e pietre. Nella scuola Diaz sono stati trovati 92 giovani, in gran parte di nazionalità straniera, dei quali 61 con evidenti e pregresse contusioni e ferite. In vari locali dello stabile sono stati sequestrati armi, oggetti da offesa ed altro materiale che ricollegano il gruppo dei giovani in questione ai disordini e alle violenze scatenate dai Black Bloc a Genova nei giorni 20 e 21. Tutti i 92 giovani sono stati tratti in arresto per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio e detenzione di bottiglie molotov. All'atto dell'irruzione uno degli occupanti ha colpito con un coltello un agente di Polizia che non ha riportato lesioni perché protetto da un corpetto. Tutti i feriti sono stati condotti per lecure in ospedali cittadini.
Il 12 maggio 2003 il Gip Anna Ivaldi dispone l'archiviazione delle indagini per il reato di resistenza, con un'ordinanza di archiviazione in cui si afferma che “non può affermarsi, neppure con un minimo grado di certezza, che coloro che si trovavano nella Diaz e che vennero poi arrestati abbiano lanciato oggetti sulle forze di polizia”.. Deve poi escludersi essi abbiano posto in essere atti di resistenza nei confronti del personale di polizia, una volta che questo riuscì ad accedere all'interno della Diaz”.. Il 3 febbraio 2004 vengono archiviate anche le accuse di associazione a delinquere.
LE MENZOGNE
Il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO HA MENTITO: nella scuola non c’erano violenti.
IL CAPO DELL’ANTITERRORISMO HA MENTITO: Non c’e’ stata una pattuglia aggredita.Il 5/9/2001 Francesco Gratteri, oggi capo dell’antiterrorismo, ha dichiarato al comitato parlamentare d’indagine che “le pattuglie andate in ausilio all'altezza della scuola Diaz-Pascoli, occupata da rappresentanti del Genoa Social Forum, vennero colpite dal lancio di oggetti. Le pattuglie, dirette dal dottor Di Bernardini della Squadra Mobile di Roma, dovettero far uso di segnali di emergenza per sottrarsi a tentativi di aggressione con possibili gravi conseguenze”. Queste affermazioni non hanno trovato riscontro nelle dichiarazioni rilasciate dallo stesso Di Bernardini durante l’interrogatorio effettuato Il 17 dicembre 2001 con il Pm Enrico Zucca.
IL PORTAVOCE DELLA POLIZIA HA MENTITO: Le ferite non erano “pregresse”.Alle 2:17 del 22 luglio il portavoce della Polizia di Stato Roberto Sgalla parla ai microfoni di RaiNews24 di “una decina di feriti, la maggior parte erano feriti che non si erano fatti curare precedentemente”. Lo stesso concetto viene confermato nel comunicato stampa del giorno successivo. Dai certificati medici risulta che durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz/pertini sono state ferite 82 persone, tre delle quali in modo molto grave.
IL CAPO DELLA DIGOS GENOVESE HA MENTITO: Dalla scuola non e’ partita una “sassaiola”..Spartaco Mortola, il numero uno della Digos di Genova, ha negato l’evidenza dei filmati girati al momento dell’irruzione dalla scuola Pascoli, l’edificio antistante alla scuola Diaz/Pertini. Mortola. In una nota inviata al capo della Polizia il 5/8/2001 mortola ha dichiarato che “poiché l'immagine è concentrata soprattutto sul portone d'ingresso ed a a causa dell'oscurità, non si nota apparentemente il lancio di oggetti contundenti dai piani superiori all'indirizzo delle forze dell'ordine, anche se lo scrivente conferma, anche in questa sede, che il lancio di oggetti ci fu”.
IL CAPO DELLA MOBILE DI ROMA HA MENTITO: Nella scuola non c’e’ stata resistenza.Il 4 settembre 2001 Vincenzo Canterini, comandante del VII nucleo sperimentale antisommossa del I Reparto Mobile di Roma, ha dichiarato al comitato parlamentare d’indagine che nella scuola Diaz/Pertini “vi sono state persone che, entrando, hanno visto lanciarsi contro delle sedie e quindi hanno reagito”. Uno degli uomini di Canterini, invece, descrive pestaggi immotivati, compiuti in assenza di reazione. Nella relazione di servizio consegnata al questore Colucci il 22 luglio 2001, il vice sovrintendente della Polizia di Stato Vincenzo Compagnone ha dichiarato che nella scuola “notavo operatori ed altri accanirsi e picchiare come belve dei ragazzi, uno di questi era a terra in una pozza di sangue e non dava segni di vita”.
IL QUESTORE DI GENOVA HA MENTITO: Nella scuola non c’e’ stato un tentato omicidio.Nel "telefax urgentissimo" del 22 luglio con cui il Questore Francesco Colucci ha notificato al ministero dell'Interno i risultati dell'operazione di polizia effettuata nella notte precedente, si descrive "una squadra" di poliziotti affrontata da "un giovane tuttora non identificato" che ``si confondeva con le altre persone rintracciate della scuola'', ma solo “dopo essere stato immobilizzato''. Nel documento di Colucci, inoltre, si sostiene che una delle cause che impediscono all'agente Massimo Nucera di identificare il suo aggressore, oltre al buio e alla concitazione, è il "contestuale intervento di numeroso personale", come dire che sul posto c'erano troppi poliziotti. Questa versione dei fatti, e il racconto dello stesso Nucera, sono stati smentiti dai Carabinieri del RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche) di Parma, con due perizie consegnate alla Procura di Genova il 25 maggio e il 7 ottobre 2002..
13 ALTI FUNZIONARI DI POLIZIA HANNO MENTITO: Nella scuola non c’erano molotov.Nel verbale di perquisizione corredato da tredici firme di alti funzionari della polizia di Stato, si descrive il ritrovamento di due bottiglie molotov, ma le indagini successive hanno rivelato una verita’ differente. Il Vicequestore aggiunto Pasquale Guaglione, infatti, ha dichiarato ai PM genovesi Enrico Zucca e Francesco Pinto che quelle bottiglie sono state in realta’ ritrovate da lui sul lungomare di Corso Italia nel pomeriggio del giorno precedente. Adesso tutti riconoscono che quelle due bottiglie sono delle “prove fasulle”, ma nessuno vuole ammettere la propria responsabilita’ nell’accreditarle come prove vere.
Durante il processo per i fatti accaduti nella scuola Diaz/Pertini non si dovra’ stabilire SE sono state falsificate delle prove, SE sono stati commessi dei pestaggi gratuiti, SE sono stati compiuti degli abusi, ma si dovra’ dire CHI e’ responsabile di questi reati in forma diretta o per omesso intervento..

Teatrino all'italiana


L'Italia è una nazione particolare, molto particolare, talmente particolare da non poterla ben definire. é molto difficile, quasi impossibile.
Ieri un vicequestore della polizia di stato dopo sei anni di silenzio ha rotto il muro dell'omertà, si dell'omertà che gravitava e che gravita attorno ad uno dei fatti più incresciosi della storia d'Italia, l'attacco alla scuola Diaz di Genova da parte delle forze dell'ordine, che in una calda notte di Luglio di sei anni fa, portarono l'Italia alla stregua dell'Argentina e del Chile di Pinochet (si è saputo che molti poliziotti durante i pestaggi alla caserma di Bolzaneto inneggiarono canti in suo onore).
Dicevo, non passano ventiquattro ore che un altro rappresentante della polizia di stato inverte la rotta: "Non posso confermare quello che ha raccontato il collega, non sono stati i miei uomini a picchiare i ragazzi alla Diaz, quando sono arrivato dal collega non c'era nessun poliziotto. Fournier urlava Basta! ma non ho visto nessuno." La persona che parla è l'ex capo della squadra mobile Vincenzo Canterini, anche lui indagato per falso.
Mi auguro che la logica mi venga in soccorso senza scomodare matematici e filosofi.
1) Nel giro di 24 ore si sono venute ad incrociare due versioni date da due responsabili che si trovavano nella scuola Diaz.
2)Il Vicequestore Fournier afferma che ha visto "energumeni" picchiare gente inerme e di essersi preoccupato quando ha visto una ragazza con la testa spaccata in fin di vita.
3)Il racconto dell'ex capo della squadra mobile Vincenzo Canterini è diverso: sente le urla del collega mentre si trovava nell'androne della scuola, fatte le scale lo raggiunge e non vede nessuno.
4) Canterini ha detto che non sono stati i suoi uomini a picchiare ma ha affermato che i suoi ragazzi hanno avuto delle colluttazioni, suffragate da una contro perizia che la polizia scientifica ha compiuto su alcuni giubotti dove si trovano dei tagli. Si tratta di controperizia, si, perchè l'esame compiuto dai Ris non riscontra nessun taglio dovuto ad arma bianca. Il Canterini dice e non dice; su dei Tonfa (i manganelli in uso al reparto celere) sono stati riscontrate delle macchie ematiche. "Solo su due dei quaranta in dotazione."
5) allora una colluttazione c'è stata, lo affermano lo stesso ex capo della squadra mobile e le macchie ematiche sui tonfa.
6) Quindi Fournier ha ragione è il racconto che ha fatto sembrerebbe giusto.
7)Canterini afferma che lui e Fournier, dieci giorni dopo l'accaduto, fanno una relazione spontanea al procuratore Lalla in cui raccontano sostanzialmente la stessa storia.
8)Quello che abbiamo letto sin qui sembrerebbe smentire il Canterini. Lui e il collega sono stati nello stesso posto ma hanno visto cose diverse. Possibile? si certo, possibilissimo.
9)Se io ed un mio collega andiamo a Roma non per questo io devo vedere le stesse cose che vede lui. Posso rimanermene in albergo, seduto in un bar, oppure visitare luoghi diversi. Posso farlo e nessuno può dirmi niente. Quando nasce il problema?
10)Se chiamati, io e il mio collega, a fare un resoconto di quanto visto dovrebbero uscire le differenze. Se me ne sono stato in albergo non posso certo raccontare di aver visto S.Pietro, il colosseo e trastevere. Se lo faccio dichiaro il falso, dichiarare il falso è reato, punito dal codice penale. Qui nasce il problema.
11)Non posso dire di aver raggiunto il mio collega e di aver visto nello stesso posto cose diverse da quelle che ha visto lui. Se lo raggiungo al colosseo devo raccontare di aver visto il colosseo, no di non averlo visto mentre l'altro afferma di averlo visto.
12)Nella vicenda raccontata da Canterini vi è un vuoto, il tempo trascorso dall'allora capo della mobile per salire le scale.
13) Ha sentito le urla del collega, ne conosce bene la voce, sono amici, arrivato non trova nessuno. Dove sono finiti gli agenti alla quale erano rivolte le urla di Fournier? Sono scesi? e da dove? chi erano questi uomini che si trovavano in quella scuola e che scompaiono nel nulla in un tempo brevissimo?
14)A chi urla "Basta!!" Fournier? se lo dice da solo? allora è da ricovero forzato.
15) Chi la racconta la verità in questa storia? chi è andato veramente al colosseo o chi non ci è andato ma finge di averlo visto, raccontando una storia diversa, una storia tipicamente italiana, che fa confondere, che spiazza, che ti fa vedere due realtà ma di cui una sola è quella vera.
La vera realtà è il sangue, le urla, i diritti cancellati in quella calda notte di Luglio del 2001.

giovedì 14 giugno 2007

Luce sull'Armando Diaz


Si è squarciato il muro di omertà che dal Luglio del 2001 proteggeva l'operato della polizia di stato nel G8 di Genova.
Si è squarciato il muro. Si doveva squarciare, era inevitabile che accadesse. Anche se è passato un bel pò di tempo, adesso uno spiraglio di luce è entrato in una delle pagine più oscure della misteriosa storia di Italia.
Qualcuno ha parlato, si direbbe se si trattasse di mafia. Ma qui non si parla di mafia, si parla di Stato, di polizia, di poliziotti. Di poliziotti esaltati, di poliziotti usciti fuori dal passato, dall'Argentina, dal Cile, dalla Grecia delle giunte militari, di poliziotti che non hanno nulla a che spartire con la polizia di uno stato Democratico.
Qui si parla di ordini dati dall'alto, non solo, si parla di alti funzionari del governo che stavano in posti che non gli competevano, non solo, si tratta di alti funzionari della polizia di stato che fabbricarono prove false.
Prove false fabbricate da funzionari della polizia di stato, fatte ritrovare nelle aule dell'Armando Diaz per trovare un alibi all'irruzione voluta da gente di Roma.
"Sembrava un mattatoio messicano": queste sono le parole con cui un vero poliziotto, un uomo per bene, uno per cui vale la pena fidarsi della polizia, ha usato per descrivere quello che ha visto dentro quella scuola di Genova il luglio di sei anni fa.
"Energumeni, pestare gente inerme." queste parole sono delle martellate che si scagliano contro quel muro, il muro dell'omertà, che non è solo della mafia ma anche di chi la mafia la dovrebbe combattere.
La combatte la mafia la polizia, ne sono convinto, ne sono convinto perchè molti ragazzi della mia età son morti per l'ideale della legalità, purtroppo però c'è gente in polizia che infanga la memoria dei propri colleghi nella maniera più indegna e meschina prendendosela con i deboli, cn la gente per bene, con chi rispetta il loro lavoro, sapendo quale e quanto sia la fatica che compiono ogni giorno per la sicurezza dei cittadini.
Sono convinto che non tutti i ragazzi che si trovavano nella scuola corressero per la santificazione ma sono anche convinto che questo, in uno stato democratico, non debba essere sinonimo di accanimento e violenza da parte di chi, i violenti, li deve arrestare per metterli lontano dalla società civile, per essere poi recuperati e reinseriti nella società. A Genova è successa una degenerazione, questa è la mia convinzione. Lo stato ha degenerato nei suoi vertici degenerando anche nelle sue membra.
"Neppure il peggiore dei nazisti" ha affermato il vicequestore Michelangelo Fournier, "avrebbe compiuto quegli atti. Prima di essere riconosciuto come funzionario sono stato insultato."
Ecco. questo era il livello di degenerazione, di marciume, di follia in cui ci si trovava in quella notte di Luglio.
Si decide la sorte di 29 agenti che sono sotto processo. Questa è una testimonianza fondamentale per la costituzione di una commissione di inchiesta e dimissionare i vertici della polizia di stato che dopo quell'inferno furono tutti promossi.
"L'unica scienza certa sono le coincidenze" diceva Borges, è una coincidenza che tutto sia accaduto sotto il governo di centrodestra
E' una coincidenza che nella centrale operativa di Bolzaneto vi fosse il sig. Fini a dare indicazioni?
Quante altre coincidenze di questo genere verranno fuori ancora?
Chi ha gestito l'ordine pubblico in quei giorni? Perchè al capo della polizia non è stato mai detto di rendere conto del suo operato?
Tutti i diregenti dei reparti sono stati promossi. Perchè?
Gianni De Gennaro ra ed è capo della polizia. Perchè non è stato preso e rimosso come accade in qualsiasi stato democratico?
"Povera quella nazione che ha bisogno di eroi". Spero che il vicequestore Fournier non diventi un eroe suo malgrado, spero che da imputato al processo abbia un processo equo con una condanna giusta da scontare, che abbia un trattamento in cui siano preservati i suoi diritti. Diritti che invece i suoi colleghi calpestarono, non rispettarono, che derisero, che cancellarono in quella lunga notte, in una delle lunghe, delle troppe notti dello stato italiano.


martedì 12 giugno 2007

"Ce ne ricorderemo di questo mondo" In onore di Sciascia II

"Siamo un pò tutti, qui, personaggi pirandelliani: quei modi di pensare e di vivere il meccanismo psicologico della teatralità, il giuco dell'essere e dell'apparire, il conflitto tra vita e forma tra il vivere e il vedersi vivere, sono cose di cui la nostra vita quotidiana è fatta.
Siamo, tra Pirandello e Brancati, tra la tragica introversione pirandelliana e la comica estroversione brancatiana, personaggi in cerca d'autore."

"la mafia è una associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, e che si pone come elemento di mediazione tra la proprietà e il lavoro: mediazione, si capisce, parassitaria e imposta con mezzi di violenza."

"Nel paese più arretrato d'Europa, c'è il manicomio più avanzato d'Europa."

Alla domanda: "Che cosa farebbe se fosse Sciascia a governare?" lo scrittore risponde: "Intanto rimanderei a casa Andreotti che riunisce in se il peggio, nei secoli della storia d'Italia. Già vedo i libri di storia del futuro: sotto il governo dell'onorevole Andreotti, la corruzione italiana raggiunse il suo massimo, mentre la vita uamana valeva quanto ai tempi di Cesare Borgia."
Il giornalista vuole sapere il perchè di tanto odio nei confronti di Andreotti; Sciascia risponde: "Per il suo machiavellismo paranoico, per il cinismo che ha ereditato dalla curia romana poi per la miopia verso il bene e la presbiopia verso il male."

Da un discorso al parlamento: "La campagna elettorale svolta ultimamente si è basata sull'ingovernabilità di questo paese.
In realtà, questo paese è il più governabile che esista al mondo. Le sue capcità di adattamento e di assuefazione, di pazienza e persino di rassegnazione sono inesauribili. Basta viaggiare in treno, in aereo, entrare in un ospedale, in un qualsiasi ufficio pubblico, avere insomma bisogno di qualcosa che abbia a che fare con il governo dello stato, con la sua amministrazione per accorgersi fino a che punto del peggio sia governabile questo paese e quanto invece siano ingovernabili e ingovernati coloro che il governo lo reggono."

giovedì 7 giugno 2007

In onore di Leonardo Sciascia


"La rivelazione che dentro il mondo pirandelliano io ci vivevo, che il dramma pirandelliano-l'identità, la relatività - era il mio di ogni giorno: me ne una specie di mania, di follia.
Chi sono e come sono gli altri - come si può parlare con gli altri non sanno nulla di me e io nulla degli altri e nulla anche di me stesso; domande che mi spingevano all'isolamento, alla solitudine.
Per uscire da tale condizione - che non era libresca, astratta, mi agrappai alla ragione, altra faccia delle cose e al modo di ragionarle, di cui avevo esempio in Diderot, in Courier, in Manzoni"

"La morte è terribile non per il non esserci più ma, al contrario, per l'esserci ancora in balia dei mutevoli ricordi, dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di coloro che restavano."
"Ho passato i primi vent'anni della mia vita dentro una società doppiamente non giusta, doppiamente non libera, doppiamente non razionale. Una società non società, in effetti.
La Sicilia, la Sicilia di cui Pirandello ha dato la più vera e profonda rappresentazione. E il fascismo. E sia il modo di essere siciliano sia al fascismo ho tentato di reagire cercando dentro di me il modo e i mezzi.
In solitudine. E, dunque, in definitiva, nevroticamente. Voglio dire: so benissimo che in questi vent'anni ho finito con l'aquisire una specie di nevrosi della ragione, di una ragione che cammina sull'orlo della non ragione."
"Credo che, se sono diventato un certo tipo di scrittore, lo devo alla passione antifascista.
La mia sensibilità al fascismo continua ad essere assai forte, lo riconosco ovunque e in ogni luogo, persino quando riveste i panni dell'antifascismo, e resto sensibile all'eternamente possible del fascismo italiano. Il fascismo non è morto. Convinto di questo sento una gran voglia di combattere, di impegnarmi di più, di essere sempre più deciso ed intransigente, di mantenere un comportamento sempre polemico nei confronti di qualunque potere."

mercoledì 6 giugno 2007

La chiesa e la pedofilia. quale connubio?


Vivere in Italia il più delle volte equivale a vivere in un paese del terzo mondo. Pochi giorni fa ha destato scandalo e clamore, l'acquisto da parte della Rai del documentario della Bbc "Sex e crimes".
Ora, che in Italia l'informazione sia platealmente controllata e che le notizie arrivino come nella Russia comunista è un dato di fatto. I signori che hanno acceso il fuoco della polemica non sanno o non vogliono sapere che prendere le informazioni dai giornali e dalla tv è un fatto obsoleto.
Fortunatamente, in questo caso è fortuna, esiste una cosa chiamata Internet. Non vi spiego cosa è, anche perchè non ne capisco una mazza, ma fortunatamente esiste.
Ora che cosa è successo? è successo che un giornalista della Bbc, vittima della pedofilia ecclesiastica ha deciso di fare un bel documentario su ciò che i preti fanno e che la chiesa nasconde.
Bene. il filmato su internet ha avuto un boom di contatti dimostrando, se mai ve ne fosse di bisogno, che il mezzo televisivo è bello che superato.
Il filmato pone dei quesiti che, secondo me, sono molto validi e ben esposti. le domande sono fondamentalmente due: 1) Perchè non è possibile denunciare i preti alle autorità giuduziare laiche e 2) perche quando la sede centrale di Roma viene a conoscenza di un atto di pedofilia perpretato da un suo lavoratore non provvede a licenziarlo invece che cambiarlo di azienda.
Sono questi i misteri su cui ruota tutto il documentario. solo due domande che hanno messo in crisi mezza Italia quando Santoro ha deciso di mandare in onda il documentario su Rai2.
"Crimine sollecitationes". questo è il documento incriminato dal bravo giornalista inglese, un documente che l'ex SS Ratzinger, adesso salito al vertice dell'azienda cattolica ha elaborato per difendere non le vittime! attenzione!!! ma i carnefici!!!!!!!!!!!!!! I preti, mi spiace ma bisogna chiamarli per quello che sono, dopo aver compiuto i loro porci comodi sui bambini venivano, spostati e non cacciati, in un altra diocesi dandogli possibilità di adescare altre vittime innocenti ed incapaci di un grido di aiuto. Il documentario parla chiaro, fa nomi e cognomi, mostra cifre da capogiro come i 4.500 preti inquisiti negli Usa o il costo dei processi che equivale più o meno all'otto per mille che viene raccolto in Italia.
Insomma, dati che la televisione Italiana non è abituata a sentire.
Santoro secondo me compie un bel gesto di giornalismo a mandare in tv quel documentario quello che mi inquieta è stata una certa riverenza che egli ha mostrato nei confronti del delegato sindacale, mandato dalla sede centrale di Roma a salvare la faccia alla sua azienda.
Il signor Fisichella è riuscito, non solo, ad apparire dispiaciuto per l'accaduto ma ha dimostrato quasi scientificamente come la chiesa non nasconda e non possieda documenti segreti. è stato costretto, dall'evidenza, a leggere alcuni passi del documento incriminato ma il tutto è scivolato via come il borotalco.
L'unica indignazione è venuta dal giornalista inglese, l'unico ad incalzare Fisichella sul botta e risposta duro e vero.
gli altri mi sono sembrati dei comprimari che facevano sfoggio di medaglie come Il signor Di Noto che vantava una esperienza pluriennale nel campo della pedofilia e Odifreddi, fresco autore di un testo mediocre "perchè non possiamo essere cristiani".
Ne è uscito bene Fisichella, grazie anche Santoro che non faceva altro che ripetere che l'accaduto riguardava casi singoli. Eh! la miseria! casi singoli un corno! 4.500 preti inquisiti non sono dei casi singoli, sono tanti!! se proporzionati al numero dei servi di Dio presenti negli Stati uniti.
Ma in Italia? i preti sono tutti agnellini? Nemmeno per sogno!
Importanti sono state le testimonianze che confermavano quello che il documentario diceva, anche in Italia vi sono stati casi riodotti al silenzio dalla lunga mano della chiesa. Commovente la testimonianza di una donna Toscana che ha ricordato le violenze subita da piccola. oppure quella del testimone nascosto che ha parlato di una vera e propria setta dalla quale è riuscito a fuggire.

Sono casi isolati? io ho i miei dubbi.

Il signor Fisichella ha continuato la difesa della sua azienda affermando che questi suoi collaboratori molto probabilmente non dovevano fare i preti. è un affermazione che ha retto per tutta la serata e ha retto dinnanzi alle testimonianze dolorose della gente. Ecco. qui mi sarebbe piaciuto un pò più di cattiveria del presentatore, non ci sarebbe stata male una presa di posizione più partigiana da parte di Santoro, l'unico a difendere a spada tratta le vittime è stato il giornalista della Bbc che non intimorito delle possibili ritorsioni ha parlato come era giusto fare. La posizione di Santoro non era facile, questo è vero, doveva moderare il dibattito che, a mio avviso, non ne aveva di bisogno visto il monologo del rappresentate sindacale. Alla fine il Sig. Fisichella è rimasto contento del trattamento ricevuto: "Non mi sono sentito condannato" ha affermato. Grazie! la trasmissione era una difesa pubblica della sua associazione!
Gli unici a lamentarsi sono stati individui della Casbha delle Libertà che hanno visto una trasmissione diversa da quella andata in onda.
Ho detto prima che è stato un bell'atto giornalistico quello di Santoro, è vero, ne sono convintissimo. Mandare in onda un servizio come quello, in una nazione retrogada e bigotta come l'Italia è servito. é servito per scuotere un pò quei 5 milioni di persone che non lo hanno visto in internet e che non possono, ora, dire: "io non lo sapevo", "io non l'ho visto".

Il Pensiero del Giorno

Se si ha carattere, si possiede anche una propria peculiare esperienza di vita, che sempre ritorna.
F.W.Nietszche

martedì 5 giugno 2007

per parlare un pò. parteII


Berlusconi che ancora cerca di essere eletto una seconda volta dopo i disastri quinquennali che ha compiuto, andrebbe in pensione a 75 anni.

Forse sono un pò troppi ma l'Italia è il paese più vecchio d'europa, ce ne vantiamo anche di quaesto!, teniamo sui banchi parlamentari cariatidi come Cossiga che ha mangiato molto di fino, teniamo gente come Andreotti che dopo essersi tirato la lingua con i fratelli Salvo(mafiosi sanguinari) è messo lì, nello scranno parlamentare da quando ha compiuto la maggiore età, ed è tanto tempo!

Ci vantiamo di tenere una Rita Levi Montalcini di un età non meglio precisata, Prodi accese un cero alla madonna di Loreto quando la signora Montalcini dovette sobbarcarsi un viaggio dall'Argentina all'Italia per votare in parlamento il nuovo governo.Attesa come una apparazione di Madonna(la cantante) votò per la fiducia. il voto di una 97 enne diede il via al governo di centro sinistra!

Ne andiamo contenti e lo raccontiamo pure!! ma siamo in Italia il paese dei teatrini e dei furbi il paese dove chi è giovane deve andare via! Spagna, Francia, Germania, solo per dire quelle europee.

Siamo in un paese dove chi ama la musica e vuole aprire un pub con un chitarrista deve contattare le seguenti istituzioni: Questura, Siae, vigili urbani, polizia sanitaria e poi se si è nel sud anche la mafia, perchè è sempre meglio essere tutelati.

Intervistato lo scorso anno da Daria Bignardi, Fabio Volo lanciò questa affermazione: "L'italia è un paese de vecchi!" vero! dovrebbero andar via questi signori politici lontani anni luce dai problemi dei giovani, dai problemi dell'università, del mondo del lavoro e perchè no, anche dai problemi sentimentali che un trentenne si trova ad affrontare.

Il pacioccone di Mastella che sventola la bandiera della famiglia dovrebbe chiedersi: Come può mettere famiglia un trentenne che lavora saltuariamente senza un briciolo di sicurezza per il futuro? ma questa domanda non se la pongono minimante loro. il loro figli sono al sicuro, il loro figli non hanno mai affrontato un colloquio di lavoro dove ti scartano per "eccessive competenze", il loro figli non sono mai entrati in una segreteria universitaria per chiedere la convalida di una materia, il loro figli studiano in America, in Francia o in Inghilterra con i soldi di papà! che sta a Roma a fottere i ragazzi che si sbracciano per garantirsi un futuro decente accanto alla loro compagna o compagno che sia.

L'Italia è questa che ci piaccia o no. io dico sempre: "Chi ha la possbilità di andarse via dall'italia lo faccia al più presto". Stanno andando via i cervelli, vero. verissimo. Andiamo ad occupare le cattedre nelle università Danesi o Svedesi, qui l'università è una associazione mafiosa se non sei della famiglia non entri e rimani precario a vita.

Stanno andando via i cervelli dicevo prima. quello che mi dà speranza è che in mezzo a questa fuga di parti umane vadano via, non so quando, anche i coglioni, i nostri politici. Troppo impegnati a farsi curare le prostate e la loro impotenza.

La Polonia perduta?


Adam Mickiewicz vedeva la Polonia come "il lazzaro delle nazioni" ed aveva ragione, intorno alla metà del 700 la bella terra Polacca era vittima di guerre traculente, guerre tra polacchi ed invasori che cercavano di conquistare questa sorta di "terra di mezzo" che divide l'europa dalla grande Russia.
Oggi, dopo tutto quello che "il lazzaro delle nazioni" ha visto passare sul suo corpo, viene difficile parlare di una risurrezione imminente.
Walesa e Woitila sono stati i "grandi" che hanno traghettato la Polonia nel mondo occidentale, dandogli libere elezioni, libertà di scelta politica ma anche una liberalizzazione economica selvggia, lasciandosi dietro, come ogni grosso cambiamento, rabbia e delusione ma anche speranza e miglioramenti.
Affermare che la Polonia di oggi è come quella dei carri armati, che sbarravano la strada ai metlameccanici di Danzica, ne passa; ma non tanto poi.
I polacchi sorprendono, quando alle ultime elezioni hanno avuto l'ardire di mettere a capo dello stato un ometto che sembra uscito dalla favola di pinocchio (l'uomo di burro). Il signore in questione è l'ormai famoso, purtroppo, Kaczynski che per non rimanere da solo si è portato dietro un altro ometto, suo fratello gemello, capo del governo.
Questi due signori stanno passando alla storia come i treghettatori della Polonia in un epoca buia che devrebbe far paura ai polacchi che hanno visto passare la storia sulla loro pelle.
Xenofobi, razzisti, fondamentalisti del cristianesimo, filo americani nelle questioni più abiette, negli ultimi tempi sono sulle pagine di tutti i giornali, nazionali e non, per le fantasie o sarebbe meglio dire, per le follie che sono in grado di pensare ma anche dire.
Ultima, in ordine di tempo è quella di escludere dall'insegnamento scolastico i testi dei seguenti autori (dopo aver letto i nomi vi autorizzo a telefonare al reparto di igiene mentale):
Goethe, Kafka,Dostoevskij.
Vengono ritenuti immorali padri del pensiero europeo! le loro opere hanno dato la formazione ai più grandi pensatori del mondo, hanno scritto pagine di bellezza unica ed inavvicinabile. fare ulteriri commenti mi pare superfluo, visti i nomi...
Le accuse di questa "inquisizione polacca" (mi incoraggia Marx quando affermava che la storia prima si presenta come tragedia e poi come farsa... qui siamo nel secondo caso) sono le seguenti:
Goethe: Viene giudicato da Miroslaw Orzechowsky (tenete bene in mente il nome nell'eventualità di un viaggio in Polonia oppure quando avrà l'ardire di venire in Italia) Troppo tedesco! ed immorale, perchè Faust scende al patto con il diavolo.
Kafka viene messo all'indice perchè accusato di Nichilismo, sopratutto nelle pagine del "Processo"
Dostoevskij è colpevole di aver dato spazio alle confessioni di un criminale nel romanzo "Delitto e Castigo"!
Ora, il signor Orzechowski, famoso per proibire il lavoro ai gay nella funzione pubblica e per detestare tutto ciò che odora di cultura alternativa, vorrebbe proibire anche l'insegnamento di autori immortali. se fossi in lui mi preoccuperei per un semplicissimo motivo; gli autori sopra citati sono stati già giudicati sia dagli uomini, basti pensare all'esilio che subì Dostoevski in Siberia(dove tra l'altro scrisse il memorabile "Memoria dalla casa dei morti") sia dalla storia, essa le ha dato ragione. credo che la storia starà bene attenta dal giudicare un tizio schizofrenico e omofobo che vuole toglierli il lavoro pur essendo la storia, una gran bella donna.

lunedì 4 giugno 2007

Continuando Sartre....


Nel secondo racconto "la camera" Sartre con maestria disegna l'immagine di una donna che nonstante i tentativi dei genitori di strapparla ad una claustrazione che, definire alienante è poco, cerca di scivolare nella follia del marito. Eva, questo è il nome della protagonista, cerca di condividere le visioni e i comportamenti del compagno. se ne sta sulla soglia tra il mondo delle persone normali, che si allontana sempre di più e la camera al dià dela muro dove, scrive Sartre, "non ci sta nè giorno nè notte, nè stagione nè malinconia" dove il tempo ha subito un blocco, bloccando anche la vita reale.

Terzo racconto, forse il più inquietante di tutti, è "Erostrato" che oltre il titolo è il nome del protagonista. Con un assassinio gratuito vorebbe affermare il suo rifiuto degli uomini. tutto ciò sarà vano. la realizzazione dell'omicidio avverrà in uno stato di incoscienza e di annichilimento, nel momento in cui l'atto sarà compiuto, Erostrato non lo riconosce più. Non sarà uno scadalo ma un crimine che esiste.

"L'initimità" che è il quarto racconto parla della grande menzogna di Lulù, menzogna vana perchè si può far finta di niente ma non si può mentire a se stessi.

Sfuggendo al marito impotente, la donna fantastica viaggi d'evasione appaganti, al focoso amante e alla sua sessualità disinibita risponde con rassegnata finzione.

Rimane da sola tra le mura di una miserabile pensione ,dove vede la bruma delle sue fantasie farsi trasparenza senza riuscire a liberarsi da una situazione invischiante.

Lucien Feurier è l'adolescente protagonista dell'ultimo racconto; "L'nfanzia di un capo" che invece di scegliere se stesso preferisce il più rassicurantre ruolo di capo al quale la classe sociale di appartenenza lo destina.

"E' il più vicino a sentire che esiste ma non vuole, evade da se stesso, si rifugia nella conteplazione dei suoi diritti: perchè i diritti non esistono, debbono essere." anche la sua fuga si rivelerà vana.

In sostanza, alle spalle o di fronte, dal "muro" dell'esistenza non si può fuggire, questa è la chiave indicata da Sartre.

Leggendo Sartre....


Leggo Sartre. sabato ho iniziato uno dei suoi capolavori; "Il Muro". le polemiche che accompagnarono la pubblicazione di quest'opera fecero da cassa di risonanza ad un filosofo che all'epoca non ne aveva di certo bisogno. La Francia esistenzialista, quella di J.P , quella della sua compagna Simone de Beauvoir, vivono un periodo di massimo splendore intellettuale. lo stile esistenzialista coinvolgeva anima e corpo. furono tantissimi quelli che aderirono al movimento francese e parigino, Saint Germain des Pres era la "sede" di quel movimento che tanto fece parlare di se. J.P.Sartre morirà nella sua Parigi nel 1980, lasciandoci in eredità uno dei movimeti filosofici più arditi e seguiti della storia della filosofia e non solo.
Tornando alla mia lettura, Il Muro evidenzia quello che in precedenza Sartre aveva già detto nella sua oper più famosa: La nausea. la difficoltà di capire, di affrontare e di vivere la vita.
"L'esistenza è un pieno che l'uomo non può abbandonare" dice il Roquentin de "La Nausea".
Si pone la stessa situazione nelle cinque storie che completano il libro.
Il primo racconto "Il Muro" è una breve storia che si colloca nella guerra di Spagna, in piena epoca franchista; ilracconto narra di tre condannati a morte che, in una cella gelida e spoglia attendo, in compagnia di un medico, di essere fucilati all'alba. Il medico ha il compito di registrare le reazioni dei tre prigionieri posizionandosi in una situazione del tutto opposta a quella dei tre.
Sarà Pablo a cerca di capire se sia possbile un esperienza della morte. Impossibile, riuscirà solo a rivedere la sua vita incompiuta, "senza valore perchè finita". l'unica cosa che comprenderà è che ha vissuto "emettendo cambiali per l'eternità" dunque di non aver capito niente della vita. Nel contempo vivrà un esperienza talmente assurda che la sua vita non sarà più la stessa.
Lo scoglimento della vicenda dimostra l'interesse metafisico e psicologico di Sartre che si cala nei panni di un condannato per una meditazione sulla morte che può colpire ai più sensibili.

Per parlare un pò


Per parlare un pò.
i fatti politici che sono accaduti ultimamente dimostrano come la situazione in Italia sia pietosa. Gente incapace messa ai posti di comando di una nava che sta andando alla deriva. Vedere nazioni come la Francia che, con il neo presidente Sarkozy considerato un Berlusconi francese, forma un governo di 15 ministri nell'arco di una settimana lascia pensare...
Per non parlare poi della Spagna del socialista Zapataro, esempio lungimirante di politica efficace, di riforme fatte per i cittadini a sostegno dei più deboli.... Sempre in Francia abbiamo visto la freschezza e il fascino incarnato nella socialista Segolen Royal, una donna che è arrivata vicino all'Eliseo ma cha ha dovuto abdicare dinnanzi ad un avversario di tutto rispetto che, a differenza di quello che succede in Italia, si è premurato a ringraziare la sua avversaria con elogi ed attestati di stima.
in ambedue i casi si sono affrontati due persone giovani, cosa che in Italia, patria della gerontocrazia appare impensabile. Prodi e Berlusconi sono due 70 enni che si danno ancora battaglia a colpi di prostata. Governando 5 anni Romano Prodi andrebbe in pensione a 73 anni, avendone ora 68.