giovedì 7 giugno 2007

In onore di Leonardo Sciascia


"La rivelazione che dentro il mondo pirandelliano io ci vivevo, che il dramma pirandelliano-l'identità, la relatività - era il mio di ogni giorno: me ne una specie di mania, di follia.
Chi sono e come sono gli altri - come si può parlare con gli altri non sanno nulla di me e io nulla degli altri e nulla anche di me stesso; domande che mi spingevano all'isolamento, alla solitudine.
Per uscire da tale condizione - che non era libresca, astratta, mi agrappai alla ragione, altra faccia delle cose e al modo di ragionarle, di cui avevo esempio in Diderot, in Courier, in Manzoni"

"La morte è terribile non per il non esserci più ma, al contrario, per l'esserci ancora in balia dei mutevoli ricordi, dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di coloro che restavano."
"Ho passato i primi vent'anni della mia vita dentro una società doppiamente non giusta, doppiamente non libera, doppiamente non razionale. Una società non società, in effetti.
La Sicilia, la Sicilia di cui Pirandello ha dato la più vera e profonda rappresentazione. E il fascismo. E sia il modo di essere siciliano sia al fascismo ho tentato di reagire cercando dentro di me il modo e i mezzi.
In solitudine. E, dunque, in definitiva, nevroticamente. Voglio dire: so benissimo che in questi vent'anni ho finito con l'aquisire una specie di nevrosi della ragione, di una ragione che cammina sull'orlo della non ragione."
"Credo che, se sono diventato un certo tipo di scrittore, lo devo alla passione antifascista.
La mia sensibilità al fascismo continua ad essere assai forte, lo riconosco ovunque e in ogni luogo, persino quando riveste i panni dell'antifascismo, e resto sensibile all'eternamente possible del fascismo italiano. Il fascismo non è morto. Convinto di questo sento una gran voglia di combattere, di impegnarmi di più, di essere sempre più deciso ed intransigente, di mantenere un comportamento sempre polemico nei confronti di qualunque potere."

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